Dal Castello di San Servolo la vista è stupenda. Alle 8 del mattino due poliziotti sloveni ed uno italiano sono pronti per il loro turno di pattuglia. Sono le unità miste formate da agenti della polizia di frontiera dei due paesi. Comunicano in inglese, italiano, ma anche in sloveno, visto che capita che gli agenti italiani lo parlino. Dalla rupe che sovrasta il golfo Trieste, Muggia e Capodistria sembrano posate su un plastico. Da qui passano i clandestini. La pattuglia entra nel bosco. Si percorre il sentiero che le guardie confinarie usavano al tempo di Tito, e tra gli alberi incontriamo i ruderi della casermetta dei “graničari”. All’epoca si sparava su chi fuggiva dalla Jugoslavia e si fermavano i triestini che andando a funghi finivano inavvertitamente nel territorio della federazione socialista. Oggi durante il giorno il sentiero viene adoperato dagli escursionisti in cerca di panorami mozzafiato.
Alla luce del sole è difficile trovare qualche fuggitivo nel bosco, ma presto riemergono i segni del loro passaggio. Bottiglie vuote, vestiti, scarpe, coperte, zainetti e persino il documento con una foto di un pachistano. Sul ciglione carsico si vedono i ripidissimi sentieri da dove i disperati tentano di scendere verso Dolina. Ne percorriamo un tratto con la polizia e si fa fatica a non scivolare. “Da qui, quando tentiamo di fermarli, corrono come camosci”, ci dicono. Damjan Horvat, della polizia slovena ci spiega che i migranti si muovono principalmente di notte. I boschi in territorio sloveno sono pieni di rovi e grotte carsiche, attraversarli non è una passeggiata, ma anche individuare i migranti non sembra la più semplice tra le operazioni.
Quando gli irregolari incontrano gli agenti fuggono a gambe levate. Si fermano soltanto se i poliziotti riescono a placcarli. Intanto i fuggiaschi sono sempre più numerosi e si muovono a gruppi. Arrivano camminando attraverso vie di fortuna dalla Bosnia o dalla Croazia, bivaccando in zone nascoste. Usano il GPS dei telefonini per orientarsi. Un viaggio lungo faticoso e non privo di rischi. Altra, più comoda e veloce, è invece è la via di chi tenta il viaggio stipato su furgoni o altri mezzi di trasporto. Le cronache del resto raccontano che il carcere di Capodistria è oramai pieno di passeur, con condanne definitive o in attesa di giudizio. La vicenda è stata raccontata alcuni giorni fa da Evgenija Carl, giornalista di TV Slovenia. In genere, si tratta di stranieri che tentano di far entrare in Italia i migranti irregolari anche su furgoni con targhe locali, in modo da non destare sospetti.
Quello della polizia che pattuglia il confine, del resto, sembra un lavoro tutt’altro che facile e non privo di pericoli. Ultimamente, ci dicono, che gli irregolari sono sempre più imprevedibili e violenti. Girano voci che sono armati con coltelli di vario tipo e le cronache che arrivano dalla Bosnia o dalla Croazia parrebbero confermarlo. Quelli che fanno il tragitto a piedi spesso arrivano in gruppi composti da molte persone, mentre gli agenti in servizio sono quelli che sono. Le famiglie, le donne ed i bambini, ci dicono, oramai sono rare. A muoversi sono soprattutto giovani uomini.
Stefano Lusa