Secondo la Treccani il totalitarismo “è un sistema politico autoritario, in cui tutti i poteri sono concentrati in un partito unico, nel suo capo o in un ristretto gruppo dirigente, che tende a dominare l’intera società grazie al controllo centralizzato dell’economia, della politica, della cultura, e alla repressione poliziesca”. Sono tratti che accomunano nazismo e stalinismo, ma anche fascismo e comunismo. Ovviamente non sono la stessa identica cosa, ma semplicemente non hanno nulla a che fare con i valori dell’Unione europea. Questo dice la risoluzione sull’Importanza della memoria per il futuro dell’Europa approvata la scossa settimana dal Parlamento europeo. Nessuna equiparazione, quindi, tra il nazismo ed il comunismo, ma soltanto una ferma condanna del totalitarismo.
Il Novecento rimarrà iscritto nella storia come il secolo dei genocidi. Una pratica usata in larga scala per conquistare territori, per “purificare” la nazione da gruppi etnici o sociali indesiderati, per eliminare nemici veri o presunti e per inseguire insani modelli di darwinismo sociale. I più abili furono i tedeschi. Per distruggere gli ebrei arrivarono addirittura a concepire un vero e proprio piano industriale per far funzionare al meglio le loro fabbriche della morte. In questo sta l’unicità del loro crimine e proprio per questo il nazismo non può essere paragonato a nessun altro regime totalitario, mentre la Shoah non può essere messa sullo stesso piano di nessun altro genocidio. Non è una questione di numeri, ma di metodo.
La risoluzione approvata dal parlamento non nega l’unicità del crimine nazista, tanto che l’Olocausto viene espressamente citato nel documento. I tedeschi del resto sono stati messi di fronte alle proprie responsabilità nell’immediato dopoguerra, quando i maggiorenti del regime vennero processati a Norimberga da un tribunale internazionale. Molti di loro finirono sul patibolo, altri vennero condannati a pesanti pene detentive. Furono forse gli unici a fare i conti con il proprio passato. Oggi in Germania nessuno si sogna di parlare della fantastica rete autostradale che collega tutto il paese per dire che Hitler ha fatto anche cose buone.
Il documento del parlamento invita a riflettere sulla natura del totalitarismo. Le amnesie collettive non mancano a partire dall’Italia. Lì ci fu qualche processo, qualcuno venne passato per le armi, ma l’esperienza fascista e le pesanti responsabilità del regime vennero presto archiviate con una amnistia. Il paese aveva saputo, almeno in parte, riscattarsi con una Resistenza ben organizzata e plurale, che vedeva tra e sue fila combattere partigiani di diverso orientamento politico. Poi ci fu l’entrata a pieno titolo nel novero delle democrazie occidentali ed evitare derive comuniste e il collasso dell’organizzazione statale, come accadde decenni dopo in Iraq con le conseguenze che sono ancora sotto gli occhi di tutti, era più importante che fare fino in fondo i conti con il fascismo.
Al momento del crollo del comunismo invece di processi non ce ne furono o quasi. A pagare sono stati in pochi, ma il conto presentato dalla storia resta altissimo: eliminazioni di massa, trasferimenti forzati, espulsioni, carestie, gulag e vie dicendo. Non si tratta, naturalmente, di mettere in discussione il ruolo decisivo dell’Unione Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale e nemmeno il contributo altissimo che i comunisti, nei singoli paesi, diedero alla Resistenza. La questione è piuttosto di analizzare quello che fu il regime comunista nei paesi dell’est Europa. Ora l’Europarlamento potrebbe offrire lo spunto per di farlo. Sarebbe il caso, quindi, di confrontarsi con la natura totalitaria, autoritaria e repressiva di quei regimi, con le persecuzioni che subirono singoli ed interi gruppi di persone: classi sociali, etnie, avversari politici. Sarebbe il caso di valutare anche l’impatto dell’uso continuato dei simboli di quei regimi e la permanenza di monumenti e luoghi commemorativi (parchi, piazze, strade) che li esaltano. Per vederli basta guardarsi intorno.
Stefano Lusa