Trent’anni fa sulla Slovenia e sulla Jugoslavia soffiavano venti di guerra. Il paese aveva un parlamento democraticamente eletto, nuovi personaggi erano arrivati sulla scena, mentre molti di quelli vecchi continuavano a giocare le loro carte. Nessuno aveva vinto e nessuno aveva perso, ma per sopravvivere era necessaria trovare una sintesi. Anche il Plebiscito nacque da un difficile e travagliato compromesso tra le parti. Destra e sinistra, all’epoca, capirono che per uscire indenni dal calderone jugoslavo, che stava andando in ebollizione, era necessario prima di tutto trovare un’intesa e che solo giocando insieme si poteva evitare di far pagare un prezzo troppo alto agli sloveni.
Andò bene, anzi andò benissimo. Quella scelta portò la Slovenia verso quell’occidente che era stato sognato, forse già negli anni Sessanta da Stane Kavčič, ma sicuramente anche per tutti gli anni Ottanta. All’epoca, Lubiana girò decisamente le spalle ai Balcani ed all’oriente ed iniziò a fantasticare di agganciarsi a quel mondo centroeuropeo di cui sentiva di far parte. Fu il tempo in cui venne riscoperta l’architettura di Jože Plečnik, in cui si gioiva per le vittorie nello sci di Bojan Križaj e Jure Franko e fu il tempo delle campagne pubblicitarie all'insegna di ”Slovenija moja dežela”, di Mladina e di Nova Revija e fu anche il tempo in cui si riscoprì il gusto per la libertà.
Destra e sinistra insieme per costruire il futuro. Proprio l’opposto di quanto avviene oggi, quando il paese si trova alle prese con la più grande emergenza sanotaria della sua storia recente. Al posto di cercare l’unità e le soluzioni per far pagare agli sloveni il minor prezzo possibile, sta andando in scena l’ennesima zuffa, messa in campo da una classe politica incapace di dialogare.
France Bučar e gli altri padri della patria ne sarebbero inorriditi e probabilmente sarebbero ancora più amareggiati nel vedere che tra i protagonisti di questo spettacolo, che stanno in primo piano o dietro le quinte, ci sono anche alcuni uomini che a tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, seppero dialogare per il bene del paese.
Stefano Lusa