La vicenda in cui si trova invischiata Radio Capodistria, che rischia di perdere una delle sue più importanti frequenze, è semplice, anche se si tratta di una storia in cui la nostra radio non avrebbe nemmeno esserci.
Andiamo con ordine. A fine mese è scaduta la concessione della frequenza 97,1 Megahertz a Radio Si, una emittente del servizio pubblico nazionale che trasmette anche le informazioni sulla viabilità stradale in varie lingue. La frequenza in questione serviva per coprire un piccolo tratto autostradale, ma sconfinava, di poco, anche in Italia.
Slovenia ed Italia si stanno facendo da tempo la guerra sulla gestione delle frequenze nelle aree di confine. La questione sta già da tempo riempiendo le aule dei tribunali. Probabilmente proprio per questo il gestore sloveno delle telecomunicazioni non ha rinnovato la concessione all’emittente di Maribor. In tal modo resta scoperto un tratto autostradale che la RTV di Slovenia, invece, per obblighi contrattuali con la società autostrade, deve coprire. Questi, in sintesi, i fatti ed a questo punto vi starete lecitamente chiedendo cosa c’entra Radio Capodistria? La risposta non può essere che niente, ma non è così.
Per risolvere il problema, all’interno della RTV è cominciata a circolare l’idea che se non si fosse trovato un accordo con l’Italia per garantire una frequenza a Radio Si si sarebbe potuto semplicemente darle la storica frequenza del 103,1 Megahertz, di Radio Capodistria. Una tesi che, stando a quanto dichiarato dal deputato della Comunità nazionale italiana, Felice Žiža, il direttore generale Igor Kadunc avrebbe ribadito anche nel corso di un recente incontro con l’ambasciatore italiano in Slovenia, Carlo Campanile.
Una prospettiva questa che rischierebbe di colpire in maniera irrimediabile una radio - Radio Capodistria - che ha fatto per decenni la storia dell’emittenza radiofonica italiana e che negli ultimi decenni, per scelte non sue, è stata quasi cancellata dal panorama radiofonico italiano dove resta solo la piccola reliquia del 103,1 MHz. Secondo alcuni non sarebbe altro che una concessione non necessaria, non imposta dalla legge che in sostanza imporrebbe soltanto di coprire la zona di Capodistria, Isola, Pirano ed Ancarano. In sintesi, una radio internazionale (e transfrontaliera) trasformata in un’emittente di quartiere.
L’idea che la radio italiana sia solo un relitto della guerra fredda che ora il servizio pubblico deve mantenere non è nuova. E’ di pochi mesi fa l’affermazione dei vertici della RTV che hanno definito i nostri programmi "non interessanti per il grande pubblico". Ostinatamente non ci si è voluto accorgere che Radio Capodistria è ancora una vecchia signora, non priva di fascino, che può contare sui suoi fedeli ascoltatori, ma anche su un appoggio bipartisan tra organizzazioni culturali, associazioni e forze politiche.
I primi a farsi sentire sono stati quelli della Sinistra dell’Istria, che hanno reagito non appena il comunicato delle nostre redazioni, in cui si denunciava il tentativo si silenziare Radio Capodistria nel FVG, è stato pubblicato. Sono stati gli unici in Slovenia. Oltre a loro, al di qua del confine, hanno preso posizione solo i rappresentanti istituzionali della minoranza, che in questo caso si sono mossi con inusuale fermezza. Poi sono cominciate a piovere prese di posizione ed iniziative in Italia. La Lega ha presentato una interpellanza, il presidente del consiglio regionale della regione Veneto, Roberto Ciambretti, ha espresso il suo sostegno, Forza Italia ha fatto sentire la sua voce in Consiglio Regionale FVG, Patto per l’Autonomia ha chiesto alla Giunta Fedriga di prendere posizione, la senatrice Tatjana Rojc ha scritto al ministro degli esteri Di Maio, la Federazione provinciale di Trieste del Partito Comunista ha espresso solidarietà e l’Unione degli Istriani ha preso una dura posizione contro l’ipotesi di spegnimento dei nostri trasmettitori.
Non l’avrebbero fatto se nessuno ci ascoltasse e se il nostro lavoro non venisse apprezzato. La cosa, di fronte alla prospettiva di venire oscurati, non ci fa stare tranquilli, ma almeno ci riempie di soddisfazione. Una soddisfazione che per una radio di una minoranza come la nostra non basta a colmare l’amarezza che c’è nel constatare che nonostante l’Europa e nonostante le tante belle parole che si sprecano spesso e volentieri sul rispetto delle diversità e delle minoranze queste non sono altro che merce di scambio che può essere usata senza scrupoli. La vicenda della nostra frequenza lo dimostra.
Stefano Lusa