Un una decina di giorni fa Luka Lisjak ha pubblicato sul suo profilo Twitter la cartina epidemiologica d’Europa in cui spicca il colore rosso scuro della Slovenia. L’intellettuale goriziano, parafrasando un celebre slogan del capo del governo, Janez Janša, ha chiosato: “Non saremo mai i più grandi, non saremo mai i più forti, ma possiamo essere i peggiori”.
Le cose nel paese non stanno andando bene. L’epidemia è fuori controllo ed il governo oramai non sembra più sapere che pesci pigliare. Il tentativo di convincere i cittadini a vaccinarsi con le maniere forti pare fallito. La Corte costituzionale ha assestato l’ultimo colpo all’esecutivo congelando il provvedimento che avrebbe imposto ai dipendenti ministeriali di essere vaccinati o guariti da meno di sei mesi per poter lavorare in presenza. Il repentino aumento delle persone in coda per farsi inoculare il siero, registrato agli inizi di settembre, è durato solo due settimane, poi si è stancamente tornati ai numeri dello scorso agosto. L’effetto Green pass è finito. Servirebbe per lavorare e per accedere a praticamente tutti i servizi, ma la realtà è che alla fine praticamente nessuno controlla. Lo possiamo verificare di persona ogni volta che ci sediamo in un bar, in un ristorante o che andiamo alla pompa di benzina. In sintesi, come tutti i provvedimenti del governo, non è stato preso troppo sul serio. Eppure, le misure anti-Covid infiammano la piazza. È il terzo mercoledì di fila che le vie di Lubiana sono invase da migliaia di cittadini, che con la scusa della protesta contro il Green pass e i vaccini stanno puntando il dito contro tutta la classe politica. L’organizzatore informale della manifestazione, Zoran Stevanović, non nasconde di voler giocare un ruolo con Resni.ca, il suo movimento, alle prossime elezioni. Da quello che si è visto riesce a suonare con maestria sulle corde del populismo, ad accendere gli animi con la sua retorica e a farsi seguire dai manifestanti.
Così tutti sembrano procedere in ordine sparso nel marasma politico e sociale sloveno, pensando forse più a farsi la guerra ed alle prossime elezioni che all’epidemia ed ai problemi del paese. In assenza di un patto sociale generale fra politiche, economiche ed amministrative è difficile pensare di poter convincere i cittadini a seguire le regole. Intanto il primo risultato è che siamo finiti nella lista rossa della Germania. Per entrare bisogna compilare una serie di scartoffie e chi non è vaccinato o guarito va in quarantena. Il rischio concreto, quindi, è quello di trovarsi nuovamente chiusi all’interno dei confini nazionali. Questa volta, però, non per il pericolo che il virus possa entrare nel paese, ma per quello che si possa noi portarlo da altre parti.
Stefano Lusa