Non ha dubbi la comunità slovena in Italia: il censimento etnico è improponibile e intollerabile. Quella del forzista Roberto Novelli più che una proposta è vista come un attacco inaccettabile. Per la deputata della minoranza Tatjana Rojc chiedere di “dichiararsi appartenente ad una comunità nazionale, significa voler avere una schedatura dei cittadini, cosa che è assolutamente anticostituzionale”. Dello stesso tono la dura presa di posizione di Ksenija Dobrila, presidente dell’SKGZ, una delle due organizzazioni rappresentative della minoranza slovena in Italia, che ci tiene a sottolineare come “in un ambito multiculturale e plurilinguistico esistono persone che si sentono appartenenti nel contempo a due o anche più identità etniche e pertanto il censimento rappresenta sia un problema tecnico sia etico”.
Non hanno peli sulla gli sloveni in Italia, che non mancano di farsi sentire ogniqualvolta il livello di serenità raggiunta tra la comunità italiana e quella slovena sul territorio rischia di essere minato da iniziative estemporanee. Il Primorski dnevnik, questa settimana ha portato alla ribalta il caso della cartina, con tanto di richiami irredentisti, pubblicata il 2 giugno dall’assessore triestino Lorenzo Giorgi. Un altro tassello nella deriva che stanno prendendo gli esponenti di Forza Italia, che dopo la boutade del presidente dell’europarlamento, Antonio Tajani, alla Foiba di Basovizza, cercano spazi nel panorama del centrodestra locale.
Quella slovena è una comunità abituata a muoversi nel contesto democratico italiano e non ha paura di parlare e di bacchettare la politica locale e nazionale quando il livello di confronto raggiunge livelli intollerabili. Gli sloveni, del resto, sono ben inseriti nel contesto partitico, tanto che oltre alle tradizionali alleanze con il centrosinistra, oggi possono, addirittura contare su un consigliere regionale eletto tra le fila della Lega: Danilo Slokar. In parole povere una comunità viva, capace di discutere di politica al suo interno, attenta alla tutela dei suoi diritti, ma plurale.
Intanto per la comunità slovena le cose sono cambiate e in meglio. Se negli anni Settanta parlare in sloveno a Trieste aveva un non so che di eroico, oggi l’uso della lingua non è un problema. Lo si vede girando per città, dove in viale XX settembre i ragazzi delle scuole slovene, con il loro colorito slang, non si fanno nessun problema a parlare nella loro lingua e ciò accade anche nei circoli sportivi o ricreativi cittadini. Il bilinguismo non c’è ancora in consiglio comunale, ma probabilmente arriverà, così come è accaduto per il consiglio regionale e per quello comunale a Gorizia. In sintesi, essere sloveni a Trieste oggi è una cosa del tutto normale ed è un bene per tutti.
Ci sarebbe tanto da imparare per la comunità italiana, che sulla carta gode di diritti che gli sloveni nemmeno si sognano. Il contesto è diverso. Gli sloveni d’Italia, nel dopo guerra non hanno perso tutta la loro classe politica, intellettuale ed economica, anzi hanno potuto arricchire le loro fila con una schiera di fuoriusciti politici, che trovarono rifugio in regione di fronte al regime comunista.
Oggi la protesta contro la conta etnica e la schedatura degli sloveni è più che legittima. L’idea di avere delle liste nazionali fa accapponare la pelle. La memoria riporta immediatamente al Censimento della razza, in cui gli ebrei italiani furono costretti ad autodenunciarsi. Quelle liste vennero poi usate dai nazisti per andare a prendere gli ebrei casa per case, per poi portarli nei campi di sterminio. Le paure della comunità slovena, e di qualsiasi altra minoranza sono quindi legittime, come dovrebbero essere legittime le paure di ogni minoranza schedata dalle autorità. Se ne preoccupano gli sloveni d’Italia, ma non se ne preoccupano affatto gli italiani di Slovenia e Croazia. Ai tempi della Jugoslavia non si erano mai sollevate critiche (e forse non era nemmeno possibile) di fronte ai censimenti, tanto che qualcuno ha visto di cattivo grado il fatto che la Slovenia abbandonasse quella pratica. Le liste degli italiani e delle minoranze ungheresi e rom, però, con tanto di nome, cognome, indirizzo a Lubiana ci sono. Si chiamano elenchi elettorali particolari per le comunità nazionali autoctone. Un tempo quei documenti erano custoditi dalle minoranze stesse. Oggi sono negli archivi del Ministero dell’Interno. Qui però nessuno protesta. Va bene così.
Stefano Lusa