E’ un po’ un luogo comune dire che i confini cadono, quando non ci sono più fisicamente. Ad esempio, è vero che con l’ allargamento dell’ Unione europea la strada che congiunge Capodistria a Trieste è spianata. In macchina ci si arriva senza problemi, questo almeno fino al 2019. Poi il Covid 19 ha rimesso in discussione tutto, attizzando assurde politiche nazional-sanitarie, cha stanno sbarrando le porte agli stranieri. Ora, i mezzi pubblici che dovrebbero collegare Trieste e Capodistria sono carenti da sempre. Pochi gli autobus e niente collegamento ferroviario né marittimo.
Ci sono stazioni di partenza, di arrivo e quelle che non portano da nessuna parte né ti fanno arrivare da nessun luogo. Sono queste ultime quelle che mi affascinano di più, perché suggeriscono viaggi di una volta e viaggi oggi improbabili. Insomma, fanno viaggiare la fantasia. Una di queste stazioni, è la stazione di Trieste Campo Marzio, ex stazione Sant’ Andrea, delle ferrovie di stato austriache, prima, poi italiane. Come più o meno tutto ciò che c’è di monumentale a Trieste, il monumentale edificio della vecchia stazione, oggi chiusa per restauri, venne costruito dagli austriaci, come sbocco verso il sud est. Si trova all’ entrata del porto nuovo. L’ hanno chiusa definitivamente nel 1960, nel più semplice dei modi: spegnendo le luci nella biglietteria e nelle sale di attesa. Durante gli ultimi anni ha ospitato il bel museo delle ferrovie e una vivace birreria con banconi e tavole massicce e annerite dal tempo e dai fumi, dove avevamo l’ abitudine di fermarci prima di raggiungere il confine. Prima di venire chiusa ne ha contati di chilometri, questa bella stazione. Mi ha sempre affascinato l’ area intorno a Campo Marzio che apre le rive triestine e il centro della città verso la periferia est, verso l’ Istria. Da qui partivano i treni per Pola e Rovigno.
Da qui si snodava la Parenzana. Ora, mi immagino gli occhi che vedevano partire i treni da questa stazione. Quelli di Italo Svevo, che aveva l’ abitudine di passeggiare lungo il Passeggio S. Andrea, o quelli di Umberto Saba mentre vagava tra la vicina lanterna e la vicina via Lazzaretto Vecchio a cui dedicò una poesia che rispecchia anche la nostra attuale tristezza da reclusi : C’è a Trieste una via dove mi specchio, nei lunghi giorni di chiusa tristezza, si chiama Via del Lazzaretto Vecchio.