“La memoria istriana da sempre è scomoda, perché la storia ha creato questa situazione di scomodità, per le cose che sappiamo, perché la guerra è finita in un certo modo, perché la guerra è stata sbagliata, è stata persa . Ma che memoria che è dolorosa non è scomoda…”
A parlare è l’ istriano Piero Delbello, direttore dell’IRCI, Istituto regionale per la Cultura Istriana Fiumana Dalmata. Gli chiedo se la memoria istriana fiumana e dalmata è scomoda, anche a Trieste. Ci incontriamo nel Magazzino 26 del porto vecchio , dove oggi sono raccolte le masserizie dell’ esodo, conservate fino a poco tempo fa nell’ ormai leggendario Magazzino 18 , luogo simbolo degli istriani fiumani e dalmati che hanno dovuto abbandonare le loro terre. Ecco immaginatevi le solite porte dimenticate dal tempo, che si riaprono per richiudersi.
Ciò che fa di un oggetto qualcosa di più di un oggetto concreto, spigoloso ingombrante, imbrattato o impolverato, abbandonato o trafugato, è la dimensione del viaggio che trasuda dalle sue giunture. È questa la dimensione che ho percepito davanti alle vecchie masserizie degli esuli, appartenute ad una terra, che è anche la mia terra. Oggetti concreti, visivi, palpabili, pieni di odori, che per una sorta di irrequietezze o rabbia o dolore indelebile, non hanno mai smesso di viaggiare. Sono come cavalli bradi che scalpitano, fuggiti da un luogo ben definito, un luogo con la sua centralità e le sue coordinate, regolato dalle logiche di una società; fuggiti in un luogo indefinito, un non luogo, come lo è un magazzino, più magazzini. Vediamo un po’ come è andato questo viaggio fra i non luoghi: dopo che hanno rischiato di venire polverizzate dalle ruspe , negli anni ottanta le masserizie vennero recuperate in extremis , dai magazzini 21 e 22, destinati all’ Adria Terminal ( ecco un altro viaggio sovrapposto al loro viaggio). Da lì il viaggio le portò al Magazzino 18, mitico, leggendario, spettacolarizzato.
Conservate a cubi , ogni cubo una famiglia, ogni cubo una memoria, un nome, scritto sul retro dei vecchi armadi, un nome che è nel contempo il mittente e il destinatario di quei metri cubi. Poi, una piccola parte di quelle masserizie, stufa di tutta quella polvere accumulatasi nel vecchio Magazzino 18, si trasferisce nel Museo della civiltà Istriana Fiumana e Dalmata nella prestigiosa via Torino. Infine, ed è la cronaca degli ultimi mesi, sbarcano nel Magazzino 26, che è un po’ la prima tappa della loro fuga da un mondo, l’ Istria, Fiume e la Dalmazia, che le ha ormai cancellate, rimosse, come se non fossero mai esistite.
Numeri e nomi. Numeri dei magazzini e nomi dei proprietari degli oggetti, segnati a matita, o appiccicati su cartoncino, come gli atti di una tragedia greca.
Se rispettate i templi dei vinti, forse avrete qualche possibilità di salvarvi. Lo ha scritto Eschilo, in Agamennone. Una frase che è anche l’ epigrafe del romanzo La pelle, di Curzio Malaparte, da dove l’ ho rubata.
Noi ci fermiamo qui. La vita va avanti. Alla prossima!