In Istria la chiusura dei confini non ha mai portato bene. È il nostro colera.
Il percorso da Capodistria a Trieste è diventato inquietante, in queste settimane di pandemia. Passando per il vecchio confine di stato Scoffie Rabuiese, la strada è desolatamente deserta. Il vecchio bar Al blocco, sulla parte italiana, è vuoto. Vuoto o quasi anche il dirimpettaio discount, meta di acquirenti sloveni fino a qualche mese fa. L’ atmosfera che ho visto qualche giorno fa era peggio di quella che si vedeva durante l’ ex cortina di ferro, quando se non altro trovavi qualcuno che faceva la fila per uscire o entrare da una e dall’ altra parte del confine.
Lungo la viabile che porta alle rive sono passato sotto la carcassa smantellata della ferriera; ho visto due navi da crociera ferme in porto in attesa di tempi migliori. Poche le macchine in circolazione, nessuna con la targa slovena. Uno o due pendolari con la targa di Pola. Sulle rive non c’era nessuno. Mi sono incamminato lungo la via della movida triestina, via Torino, deserta. Un po’ prima, in piazza Ortis mi son fermato ad una bancarella che vende libri usati. Trasgredendo le comprovate ragioni, ho acquistato un libro. La città era ancora in zona rossa e i bar erano chiusi, se non per l’ asporto. Qua e là qualche gruppetto di persone con le mascherine , felici di stare insieme, in apparenza. Mentre camminavo verso la città vecchia, pensavo quali possano essere le vere comprovate ragioni per uno come me per venire a Trieste , città da sempre punto di riferimento per gli istriani, soprattutto per noi di madrelingua italiana, anche durante il periodo dei confini duri e puri. Be’, la risposta per me è semplice e cristallina: le mie comprovate ragioni sono quelle innate e oggi queste innate e comprovate ragioni si scontrano con un’ Unione europea che praticamente non c’è, che se ne infischia delle minoranze linguistiche e che affronta la pandemia come un’ armata Brancaleone, in ordine sparso .
Sotto la piazzetta Barbacan, amata da James Joyce, mi sono imbattuto in una targa dedicata a Italo Svevo, assiduo frequentatore della zona. Accanto alla targa c'e' la statua della Madonnina che la vicina parrocchia S. M. Maggiore ha dedicata nel 2009 al centosessantesimo anniversario della fine del colera. Chissà che non ci porti fortuna.
Aljoša Curavić
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