Qualcuno parla di “populismo penale”, o “panpenalismo”, ma comunque si voglia definire il nuovo decreto sicurezza, è un dato di fatto che la maggior parte dei nuovi reati e degli inasprimenti delle pene previste dal provvedimento, approvato dalla Camera e in attesa dell’esame in commissione al Senato, sono legati a fenomeni sociali del momento e, in parte, tendono a limitare le manifestazioni e le azioni di protesta.
La maggior parte dei 38 articoli prevedono nuovi reati, anche su comportamenti già perseguiti nel Codice penale in vigore. È il caso dell’ampliamento del reato di danneggiamento, che ha visto salire da 10 a 15 mila euro la multa massima, e la reclusione a un anno e sei mesi; se il reato è commesso con la violenza o la minaccia, le pene aumentano, con una multa che può arrivare fino a 15 mila euro, mentre la reclusione parte da almeno un anno e sei mesi.
Modificato anche il “Daspo urbano”, il divieto di accedere a luoghi pubblici per singoli cittadini, che potrà scattare anche in assenza di condanna definitiva, se i destinatari del provvedimento sono accusati di aver commesso nei cinque anni precedenti alcuni tipi di reato, all’interno di stazioni, aeroporti, porti o strutture di trasporto pubblico locale. Previsto anche “l’arresto in flagranza differita” per lesioni a un pubblico ufficiale durante le manifestazioni sportive o di un medico o infermiere in servizio, e una pena da sei mesi a cinque anni per chi minaccia “un pubblico ufficiale” o “un incaricato di un pubblico servizio”.
Le norme puntano anche a limitare le proteste, in gran parte ambientaliste, avvenute negli ultimi mesi, con una multa da mille a 4 mila euro per chi impedisce la circolazione su strada o sui binari usando il proprio corpo, e la pena aumentata da sei mesi a due anni se il blocco stradale è commesso insieme ad altre persone.
Ampliato anche il reato di “deturpamento e imbrattamento di cose altrui”, nel caso sia commesso contro “beni mobili o immobili adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche”. Una serie di norme puniscono poi le rivolte e i danneggiamenti all’interno di carceri e centri di accoglienza per immigrati.
Un articolo sembra invece rivolto contro le ONG che soccorrono i migranti nel mar Mediterraneo, con l’inasprimento di alcuni reati attualmente contemplati nel Codice della navigazione.
Mano dura anche sulle occupazioni d’immobili (“occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”): chi occupa una casa, con la violenza o la minaccia o cede un immobile occupato rischia da due a sette anni.
Non manca una norma per limitare il rischio terrorismo, che punisce la “detenzione di materiale con finalità di terrorismo”, la “fabbricazione o detenzione di materie esplodenti”, ma anche chi vende delle sim telefoniche a immigrati senza prima chiedere il permesso di soggiorno.
Previsto anche il carcere fino tre anni per chi sfrutta i minori per chiedere la carità.
Si tratta di una serie di provvedimenti in linea con la politica del governo Meloni, che fin da primi passi aveva approvato norme come la legge anti rave, ma che hanno provocato la reazione dell’opposizione di molte organizzazioni che hanno visto nel decreto un mezzo per limitare la libertà di espressione e di manifestare. Fra queste c’è Amnesty international, secondo cui il decreto s’inserisce in un quadro preoccupante di “progressivo restringimento dello spazio civico in tutta Europa”: “alle richieste di cambiamenti e diritti si risponde con manganelli e lacrimogeni, persino quando a manifestare sono persone minorenni”.
Anche l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ha preso posizione sul decreto, affermando che il testo mina le basi dello Stato di diritto, e criminalizza grandi problemi come quello dell’abitare e, più in generale, ogni forma di dissenso”.
Alessandro Martegani