“L’interpretazione della Costituzione non può essere appannaggio di una sola parte politica”. Il Convegno alla Camera, organizzato dalla Fondazione De Gasperi, sulla riforma della Costituzione, che il governo di centro destra in Italia vuole cambiare per arrivare all’elezione diretta del Capo del Governo, è stata l’occasione per Giorgia Meloni di dare un nuovo colpo a un’impostazione che resiste da 75 anni, e che pone l’antifascismo come principio base della carta fondamentale repubblicana.
In 50 minuti d’intervento, la Premier non ha mai nominato né toccato l’argomento della base antifascista della Costituzione, insistendo invece più volte sulla considerazione che la Costituzione “è di tutti” e di come “tutti” (parola ripetuta 32 volte nel corso dell’intervento), debbano potersi riconoscere nella Costituzione: “Se la Costituzione deve essere di tutti, ed è di tutti, - ha detto - la sua interpretazione non può privilegiare una sola cultura politica o un solo punto di vista. La Costituzione va letta e applicata in modo che tutti in essa si riconoscano”.
Non c’è stata, sia chiaro, una proposta esplicita di superare il principio dell’antifascismo che sta alla base della Costituzione italiana, (oltre alla dodicesima disposizione transitoria e finale, che vieta la ricostituzione del partito fascista, la stessa Costituzione è stata scritta e votata da protagonisti della lotta al fascismo), ma il ribadire più volte come la carta fondamentale debba essere un documento condiviso da “tutti”, senza privilegiare “una sola cultura politica”, e addebitare a “chi ritiene di essere il depositario esclusivo della Costituzione”, vale a dire coloro che si oppongono alla riforma sul premierato, la responsabilità di mettere in crisi “la funzione unificante che è propria della Costituzione”, sembra un tentativo di sferrare l’attacco finale a un’impostazione che ha retto il sistema politico e costituzionale italiano dal dopoguerra a oggi.
E che nulla sia intoccabile la Premier lo ha detto chiaramente, anche questa volta senza fare direttamente riferimento alla cultura che sta alla base della carta fondamentale, ma in termini molto chiari: “La Costituzione non è un moloch intangibile – ha scadito -, negli oltre 75 anni in cui è stata in vigore non è mai stata pietrificata, è vissuta nell'interpretazione dei vari attori della nostra democrazia".
Nonostante le rassicurazioni sul fatto che i paletti che riguardano le garanzie costituzionali e i diritti fondamentali non saranno toccati, che l’elezione diretta del premier serve a garantire governi più stabili, e che la figura del Presidente della Repubblica, che naturalmente non avrà più lo stesso ruolo di prima nella designazione del Presidente del Consiglio, non sarà indebolita, Giorgia Meloni non riesce a spazzar via l’impressione che quella che ha in mente sia una struttura dello Stato che punta a ridurre le possibilità dell’opposizione d’incidere sulle azioni della maggioranza, con una personalità forte alla guida del governo, legittimata dal voto diretto e quindi con un potere amplificato e difficilmente limitabile, se non con il ritorno alle urne dopo anni di governo. Una prospettiva che, per la Premier, è necessaria per dare a chi governa il tempo d’investire, nell’interesse dei cittadini, anziché cercare continuamente il consenso per il timore di perdere il controllo del paese, ma che per i critici sulla riforma, (i leader politici che, ha ricordato Giorgia Meloni, “parlano di fermare la riforma con i loro corpi”, e - ha aggiunto - “non so se lo devo leggere come una minaccia o come una sostanziale mancanza di argomentazione nel merito”), rischia di avvicinare sempre di più l’Italia all’Ungheria di Orban, con un controllo totale dell’esecutivo su tutte le attività dello Stato, compresa l’informazione, (è tutt’ora in corso lo scontro sul controllo della Rai da parte del governo di centro destra innescato dal casi Scurati), e la magistratura. Una delle grandi riforme su cui il governo di centro destra sta lavorando, è proprio quella che riguarda la giustizia, e che prevede anche uno dei cavalli di battaglia della destra e di Silvio Berlusconi: la separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, anticamera del passaggio della magistratura inquirente sotto il controllo, o perlomeno l’influenza, del potere politico.
Tutte queste critiche però non spostano di una virgola la determinazione del centro destra ad andare avanti, contando su una maggioranza ampia e, come ha detto Meloni, “solida”: la Premier ha ricordato come l’elezione diretta sia stata proposta più volte in passato anche dalla sinistra e ha sottolineato, “il contributo, politico e culturale, che a questa causa ha portato, lungo tutta la storia repubblicana, la destra, dal Msi, passando per Alleanza nazionale, fino a Fratelli d’Italia”. Soprattutto ha però ribadito che il suo governo ha fatto “quello che i cittadini ci hanno chiesto di fare" perché "era nel nostro programma elettorale”. “Sono sempre disponibile a dialogare – ha concluso - purché l'intento non sia dilatorio e non sia quello che tante volte abbiamo visto in questi Parlamenti: le Commissioni bicamerali, si parla, si discute tre anni, e non se ne fa niente”.
Alessandro Martegani