Foto: EPA
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Gli attacchi hanno fatto seguito all'esplosione dei dispositivi di comunicazione avvenuta all'inizio della settimana, imputata a Israele da Libano e Iran, che ha ucciso 37 persone e provocato oltre 4.000 feriti. L'’IDF ha affermato che i suoi velivoli da guerra "hanno colpito circa 100 lanciarazzi e ulteriori posizioni di infrastrutture terroristiche costituite da circa 1.000 missili che erano pronti per essere lanciati contro il territorio israeliano. L'agenzia di stampa libanese NNA ha riferito che 52 obiettivi nel Paese sono stati bombardati dopo le 21:00, ora locale. Fonti della sicurezza hanno affermato che questi sono stati i peggiori attacchi aerei dall'inizio dei combattimenti nell'ottobre dello scorso anno. Anche Hezbollah di risposta ha colpito: almeno dieci le abitazioni gravemente danneggiate a Metulla vicino al confine. Lo Stato ebraico, tramite il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha dichiarato esplicitamente che gli attacchi del gruppo sciita rappresentano un pericolo per i confini e gli interessi della Nazione e che, come quelli di Hamas, vanno contrastati. L’esercito ha esortato i residenti del nord di Israele a evitare grandi raduni e rimanere vicino ai rifugi messi a disposizione. “Nella nuova fase del conflitto ci sono grandi opportunità ma anche grandi rischi. Il movimento libanese si sente perseguitato quindi le operazioni proseguiranno e pagherà un prezzo sempre più alto” ha dichiarato ancora Gallant. Preoccupazione e sgomento, intanto, da parte del mondo politico internazionale il quale invita nuovamente tutte le parti alla moderazione. Nel frattempo, però, le prospettive di un accordo tra Israele e Hamas per porre fine alla crisi nella Striscia di Gaza e ottenere il rilascio degli ostaggi appaiono sempre più remote. Fonti vicine alle trattative hanno confidato al Wall Street Journal che un'intesa prima della fine del mandato del presidente Joe Biden è altamente improbabile. Secondo i funzionari USA, la possibilità di un conflitto su larga scala tra lo Stato ebraico e Hezbollah costituisce un'ulteriore minaccia rendendo ancora più ardua la mediazione diplomatica.