In molti paesi del mondo oggi gli studenti sono scesi in piazza per chiedere che i governi agiscano al più presto per arginare il fenomeno del cambiamento climatico. Un'iniziativa politica, quella del “Fridays for future” che parte dell'opinione pubblica internazionale guarda con scetticismo.
“Questo è chiaramente un tema generazionale”, ci spiega Paolo Ermano, docente di economia all'università di Udine, “nel senso che, da quello che si è potuto vedere sin dalle prime manifestazioni nella primavera di quest’anno, per la prima volta da anni un numero sorprendente di studenti ha preso parte alle proteste. Questo è un sintomo della chiara presa di coscienza da parte di questa generazione del problema ambientale. Lo scetticismo esiste, ma è espresso soprattutto dalle fasce di popolazione più matura, adulti ed anziani, poiché si tratta di una protesta nella quale i ragazzi segnalano la necessità di cambiare tutti, non solo alcuni ceti sociali, il proprio stile di vita ed i propri comportamenti. D’altronde prima o poi anche chi oggi non è sensibile a questa problematica sarà obbligato a cambiare le proprie abitudini di trasporto, di consumo dell’energia, di gestione delle materie e dei prodotti che utilizza”.
Ma come far convivere lo sviluppo economico con la sostenibilità ambientale?
“Il punto è che storicamente da quando esiste lo sviluppo economico che stiamo vivendo, quindi dall’inizio della rivoluzione industriale 250 anni fa circa, con una certa frequenza ci sono stati dei cambiamenti spesso tecnologici ed a volte politici che hanno imposto la chiusura di certi tipi di industrie e produzioni per dare spazio ad altre. È un fenomeno, quindi antico anche se oggi per la prima volta dobbiamo cambiare non perché si siano profilando nuove possibilità, ma perché siamo costretti da variabili esterne. È come ci fosse una guerra in corso, che ti costringe a cambiare abitudini perché dall’esterno stanno facendo pressioni. Per poter gestire il cambiamento, però, ci vogliono delle strategie lungimiranti, che guardino al futuro non solo dal punto di vista degli obiettivi ma sanche e soprattutto dal punto di vista della procedura. Ci vuole, però, una transizione ragionata e condivisa, per non creare tensioni come quelle che ad esempio ci sono state in Francia lo scorso anno con i gilet gialli che protestavano perché gli venivano tolte tutta una serie di esenzioni fiscali atte a ridurre il costo della benzina, per spostare i mezzi per sviluppare politiche ambientali”.
Scetticismo o meno, con il movimento dei “Fridays for future” i giovani sembrano essere ritornati a fare politica.
“Questa è una cosa molto bella, e sta avvenendo perché probabilmente hanno trovato un tema che riesce a coagularli e ad interessarli. D’altronde si tratta di un tema stimolante, perché si tratta di dover cambiare tutti noi in positivo per rispettare il pianeta su cui ci troviamo a vivere. Si tratta, però, di un problema troppo importante per lasciarne tutto il carico sui giovani e quindi è giusto che come stanno chiedendo in questi mesi, siano i governi ad assumersi la responsabilità di rivedere la gestione delle risorse e ad incentivare stili di vita che possano fermare questo processo”.
Non si tratta di tornare al Medioevo, come molti detrattori, ma solo di rivedere il nostro stile di vita ed i nostri schemi mentali. Una cosa che come ci insegna la storia non è mai facile, ma per fortuna ci sono stati e ci sono i giovani che per loro natura sono più propensi in media a sovvertire gli schemi ed i comportamenti sociali, e che forse anche in quest'occasione saranno capaci di far cambiare punto di vista a tutti, prima che sia troppo tardi.
Barbara Costamagna