L'evoluzione del lavoro artistico dalla Jugoslavia ai giorni nostri. La mostra »Umetnost na delo«, l'arte a lavoro, ospitata al Museo di arte contemporanea di Lubiana fino a fine gennaio, prende origine da questa idea, che nasce da una domanda semplice: come è cambiato il modo di lavorare per gli artisti, dall'avanguardia degli '60, fino alla conqusita degli spazi di espressione degli anni '90 e alle pratiche artistiche di ispirazione politica del secondo millennio?
Lungo il percorso espositivo scopriamo che durante il passaggio dal socialismo al capitalismo il concetto di lavoro degli artisti è cambiato notevolmente nel territorio dell'ex Jugoslavia, così come gli spazi artistici e i tempi di produzione. Mentre durante il socialismo gli artisti parlavano di pigrizia e tempo di inattività come tempo creativo, lo stesso concetto è stato sostituito dal tempo di produzione »perseguitato« dalle scadenze, dettate dai ritmi frenetici di una nuova modernità.
Allo stesso modo, negli anni '90 l'utopismo dei collettivi d'arte è stato sostituito dal pragmatismo e dalla flessibilità del lavoro delle organizzazioni non governative, dipendenti prevalentemente da fondi pubblici, condizionando la sopravvivenza di artisti e operatori culturali alla durata dei singoli progetti. Sebbene le condizioni di lavoro non fossero molto migliori sotto il socialismo, gli artisti almeno avevano tutto il loro tempo a loro disposizione.
Ma non è tutto da buttare. La mostra, infatti, mette in evidenza che in passato i collettivi artistici erano prevalentemente maschili e che le donne articolavano il proprio lavoro in modo diverso, mentre ora c'è più equilibrio. Inoltre, la cooperazione tra istituzioni, organizzazioni non governative e singoli artisti ha spesso portato l'attenzione del grande pubblico su argomenti trascurati, come i diritti dei lavoratori migranti.
Valerio Fabbri