"Se gli agricoltori scendono in piazza per manifestare vuol dire che il nostro paese sta già sanguinando". E' racchiusa in questa questa lapidaria frase del leader della protesta pacifica dei lavoratori agricoli, Anton Medved, il cuore del messaggio che in migliaia hanno voluto trasmettere oggi al governo, riunendosi davanti alla sede del parlamento. Mentre su un lato di piazza della Repubblica si sono alternate sul palco le voci di coltivatori diretti, imprenditori agricoli e delegati delle diverse sigle di categoria, lungo le vie fra il Palazzo che rappresenta il cuore della politica e la sede del governo hanno sfilato centinaia di trattori e mezzi agricoli, alcuni con pittoreschi richiami al capo del governo, Robert Golob, altri con appelli per un dialogo fra le parti che, secondo loro, è stato interrotto per arroganza e mancanza di coraggio.
Per questo fra le richieste anche la rinuncia a un'agricoltura insostenibile per chi la pratica prima ancora che per l'ambiente, di cui gli agricoltori si professano gelosi custodi ben più del governo che, secondo loro, è troppo distante dalle necessità del settore.
Oltre a una migliore fiscalità per superare le difficoltà legate all'inflazione, a norme meno burocratiche e di più facile applicazione, gli agricoltori hanno ribadito che il loro unico desiderio è poter lavorare, non di ricevere finanziamenti pubblici. Allo stesso tempo, risulta loro incomprensibile la scelta dell'esecutivo di definire come aree protette nel programma europeo Natura 2000 terreni che per oltre 100 anni sono stati coltivati dall'uomo, come recitava uno dei tanti cartelli.
Secondo la ministra dell'Agricoltura, Irena Šinko, impegnata a Lussemburgo per un vertice europeo, il dialogo potrebbe riprendere dopo le feste per raggiungere un accordo, a partire dalle risposte scritte che il governo ha inviato giovedì scorso.
Valerio Fabbri