Il Famedio della Questura di Trieste, il monumento al Parco della Rimembranza che ricorda la partenza delle truppe Jugoslave dal capoluogo giuliano, la targa alla scuola di Polizia in onore dei deportati. Sono state queste le tappe della mattinata di commemorazione del 12 giugno, organizzata dall'Unione degli Istriani e dalla Lega Nazionale.
Nel corso delle cerimonie, che hanno visto la partecipazione di rappresentanti delle amministrazioni del comune e della regione, ma non esponenti dell'opposizione, sono stati ricordati i giorni della presenza delle truppe jugoslave nell'area di Trieste, ma soprattutto gli agenti di polizia e i cittadini che persero la vita o furono deportati in quel periodo.
"Fu un'esperienza decisamente molto importante nella sua tragicità per la città di Trieste - spiega il presidente della Lega Nazionale Paolo Sardos Albertini -, un momento nel quale Trieste ha rischiato di essere cancellata nella sua identità, e questo è quanto di peggio possa capitare a una collettività".
"Il tutto - continua Sardos Albertini - fu accompagnato poi dal sacrificio di tante, tantissime persone: le cerimonie sono partite dal Famedio della Questura, dove sono riportati quasi un centinaio di nomi, tutti con un'unica data di morte, il primo maggio del '45, un fatto che dà l'idea della dimensione della tragedia".
"È quindi è giusto ricordare il 12 giugno, perché è un confermare quello che è il senso dell'identità di questa collettività, è un ribadire la condanna della violenza che ha accompagnato, come sovente succede, quella che è stata fondamentalmente una rivoluzione. Ci siamo trovati di fronte a un fenomeno che aveva due connotati: Tito puntava a realizzare la sua rivoluzione comunista, e l'abbiamo pagato noi italiani, ma anche gli sloveni e anche i croati, ma voleva anche realizzare un'espansione territoriale, e questo l'abbiamo pagato noi italiani di Trieste ma soprattutto i profughi dall'Istria".
Riguardo l'aumento della Tensione sulla storia di Trieste nel dopoguerra, Sardos Albertini invita a non ascoltare quelli che definisce "una sorta di professionisti della protesta". "Non c'è occasione che venga trascurata da queste persone - spiega - per protestare contro questo contro quest'altro: si tratta di una sorta di vocazione delle oche del Campidoglio, starnazzano di volta in volta contro una cosa o contro l'altra. Mi viene in mente un concetto a me molto caro, di Giovannino Guareschi, che parlava di "Trinariciuti" ("con tre narici": termine coniato da Guareschi nell'immediato secondo dopoguerra per indicare gli iscritti al partito comunista, accusati dal giornalista e scrittore di acritica sudditanza alle direttive del partito N.d.r.), e queste persone non meritano attenzione."
Nel corso della cerimonia è stato il presidente dell'Unione degli istriani, Massimiliano Lacota, a ripercorre i giorni della presenza jugoslava a Trieste, ma da Lacota sono giunte anche richieste concrete alle amministrazioni di Comune e regione. "La città - spiega Lacota - attraverso l'amministrazione comunale ma anche l'amministrazione regionale, dovrebbe farsi parte diligente per sensibilizzare in Slovenia e Croazia le autorità nazionali, ma anche quelle locali, sul fatto che attendiamo ancora di conoscere i luoghi di sepoltura degli scomparsi, e di avere documentazione rispetto a ciò che avvenne nei 40 giorni: gli archivi con l'elenco dei deportati, i luoghi dove sono morti, tutti dati che vogliamo sapere".
"Ancora più importante - aggiunge - se ci riferiamo a Trieste, è poi l'istituzionalizzazione della data del 12 giugno, che è la data in cui finisce la guerra a Trieste. Il lungo periodo che inizia nel '43, o se vogliamo anche prima, a Trieste finisce non il 25 Aprile '45, non il 30 Aprile '45 ma il 12 giugno, e questa è una data che deve essere istituzionalizzata, la città deve prenderne atto. Capisco che ci siano delle tensioni nel passato rispetto a una proposta del genere, però i tempi sono maturi per far sì che il 12 giugno sia una data ufficiale del Comune di Trieste".
"La città di Trieste ha memorie diverse, se sensibilità diverse, a volte difficili da unire - aggiunge - ma io il prossimo anno, a 75 anni dal 12 giugno del 1945, intendo anche fare un'altra proposta: realizzare un grande monumento, contro tutti i totalitarismi, dove in un'unica giornata, da scegliere in accordo con le varie componenti della città, e sono tante, ognuno possa deporre la propria corona. Un monumento che non abbia simboli, che abbia solamente delle scritte nelle lingue più opportune, le lingue del territorio, in modo che si ricordi, e che non ci possa più essere una scusa per dire 'noi non ci riconosciamo'. Credo - conclude Lacota - sia un passo doveroso, a 75 anni dal 12 giugno e a così tanti anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale".
Alessandro Martegani