"TrYeste - Cambiare la città per non dover cambiare città” è il titolo che un gruppo di giovani triestini ha scelto per chiamare alla sottoscrizione di un messaggio agli abitanti di Fiume. Vi si esprime sconcerto per quella che viene definita "l'escalation di parole ed atti di chi amministra la nostra città" e che, si legge nel testo "ha riportato indietro le lancette della storia". Criticando apertamente i toni scelti per la celebrazione del centenario dell'impresa fiumana di Gabriele D'Annunzio, i firmatari scrivono: "Incontrarci, conoscerci, tessere legami e progetti condivisi è la risposta migliore che, insieme, possiamo dare a chi dall’alto cerca di dividerci con retoriche e linguaggi d’odio che devono appartenere al passato". (red)
Il testo integrale della petizione:
"Alle/agli abitanti di Rijeka/Fiume
In particolare alle nostre/ai nostri coetanee/i
Siamo giovani che vivono o hanno vissuto a Trieste.
Vi scriviamo questa lettera aperta innanzitutto per condividere con voi il nostro sconcerto e la nostra rabbia. Negli ultimi mesi una escalation continua di parole e atti da parte di chi – speriamo ancora per il minor tempo possibile – amministra la nostra città ha riportato indietro le lancette della storia a quando i nostri popoli erano spinti ad odiarsi. Odi e vendette etniche tra popolazioni naturalmente intrecciate e che da secoli condividevano gli stessi territori hanno caratterizzato tragicamente larga parte del ‘900. Noi, che siamo nate/i tardi per vivere sulla nostra pelle le peggiori pagine di questa storia, sappiamo tuttavia quanto dolore, lacerazione, impoverimento abbiano portato questi conflitti nelle nostre terre, e non vogliamo, per nessuna ragione, tornare indietro.
Per questo non possiamo che condannare e respingere il disegno politico di chi pensa di poter speculare elettoralmente celebrando pagine tragiche della storia delle nostre terre, anziché ricordandole e analizzandole con il dovuto spirito critico e il dovuto rispetto. È il caso, appunto, delle manifestazioni promosse in occasione del centenario della cosiddetta “impresa fiumana”, ovvero l’occupazione della vostra città da parte delle truppe capeggiate da Gabriele D’Annunzio. La mostra “Disobbedisco” allestita a Trieste, così come l’erezione di una statua dedicata al capo di quella spedizione – costate 382.000 € di fondi pubblici – sono state in un primo momento giustificate in maniera goffa celandosi dietro ai meriti letterari di D’Annunzio. Una scusa debole che oggi è definitivamente cascata, nel momento in cui l’Assessora all’Educazione del Comune di Trieste, Angela Brandi, ha pubblicamente dichiarato che l’inaugurazione della statua era legata alla celebrazione di “Fiume città italiana”.
Noi, in effetti, siamo convinti che le nostre città, Trieste/Trst/Triest e Rijeka/Fiume, non siano solo italiane; ma anche slave, germaniche, ungheresi, levantine, e via dicendo. Non possono essere storicamente associabili esclusivamente a una nazionalità perché sono state la casa, il porto sicuro, il luogo degli affetti, delle fortune economiche, delle lotte per l’emancipazione di tante persone dalle diverse lingue, culture, storie, religioni, tradizioni. Guardando verso il futuro, e non verso il passato che larga parte delle nostre classi politiche indicano ossessivamente alla ricerca della conservazione del consenso, crediamo che oggi più che mai ci siano le opportunità per una convivenza pacifica e proficua tra tutte/i le/gli abitanti, vecchie/i e nuove/i, delle nostre terre.
Con lo sguardo al futuro, infatti, ritroviamo due occasioni molto preziose: il prossimo anno Trieste sarà Capitale Europea della Scienza e Rijeka sarà Capitale Europea della Cultura. Questo è dunque anche un invito: visitate Trieste e scoprirete che le persone che la abitano sono mediamente migliori di chi temporaneamente sta amministrando la città. Noi, con molte/i altre/i da Trieste, faremo con piacere lo stesso viaggio nella direzione opposta. Incontrarci, conoscerci, tessere legami e progetti condivisi è la risposta migliore che, insieme, possiamo dare a chi dall’alto cerca di dividerci con retoriche e linguaggi d’odio che devono appartenere al passato".