Foto: Radio Capodistria
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La Regione intanto sta cercando di correre ai ripari. Nei giorni scorsi, ha cominciato a girare la voce che la presidenza dell’Università popolare potrebbe andare a Massimiliano Lacota. Il presidente dell’Unione degli Istriani è stato chiamato in causa in quanto esperto in ristrutturazioni aziendali.

“Io non sono disponibile a fare il presidente dell’Università popolare, non ho intenzione ripetere una esperienza che ho già fatto in altri enti, dove ci sono persone nel Consiglio di amministrazione che sono espressione di enti politici o altre realtà associative, che molto spesso non hanno la competenza necessaria per guidare e sanare una situazione che mi pare molto difficile.

Se invece mi venisse chiesto un impegno per mettere a punto un piano di ristrutturazione, allora potrei anche essere disponibile sulla base di dettagli che dovranno essere definiti”.

“Non mi sono occupato a fondo della questione. Sentivo già da mesi che la situazione sembrava preoccupante. Giungevano voci che il personale riceveva in ritardo gli stipendi, che c’erano difficoltà a reperire le risorse ed in generale che la situazione finanziaria era molto difficile, con bilanci che non si riuscivano a chiudere. Non conosco i dettagli, leggo le cose sui giornali. Mi era giunta voce di un disavanzo di 450 mila euro, mentre oggi si parla di oltre 700 mila. Come sempre bisogna fare una valutazione oggettiva, un esame della situazione e non lo si può fare in un paio di giorni. Certamente ci sono delle responsabilità, perché un ente come l’Università popolare non è una azienda che vive di appalti, che magari perde un committente e si trova in difficoltà. Qui siamo di fronte ad un ente che gestisce del denaro pubblico prendendolo dallo Stato, attraverso una serie di norme di legge, per andare poi a finanziare l’attività dell’Unione Italiana. Qualcosa è andato storto se questo passaggio produce un disavanzo così alto. Qualcuno non ha controllato, e qualcuno non ha utilizzato correttamente i danari; anche se è molto strano che con questa attività, che è molto complessa, perché magari ci sono dei ritardi nell’erogazione, ma che è anche molto lineare, si possa essere creata una situazione del genere. Temo che l’incompetenza, che a volte si manifesta in questi enti, dove magari si trovano membri nominati dalla politica ma senza alcuna preparazione (io ho visto parecchi casi del genere in Italia ed all’estero) possa molto spesso produrre queste situazioni che sono antipatiche e soprattutto arrecano anche un danno di immagine all’ente”.

Se al tempo del regime Jugoslavo l’unico tramite possibile per le sovvenzioni italiane alla minoranza era l’Università popolare di Trieste, oggi è percorribile via diversa? Oggi l’UPT serve ancora?

“Sono convinto che proprio seguendo questa vicenda e prendendo spunto da essa bisognerebbe, a mio avviso, fare una riflessione a tutto campo sul ruolo dell’Università popolare. Personalmente credo sarebbe meglio tornasse a fare quello per cui è nata: istruire la popolazione, contribuire all’istruzione e alla formazione educativa dei giovani in particolare con dei corsi altamente qualificati, cosa che mi pare, negli ultimi anni non sia più avvenuta. Rimodulare, quindi, l’attività concentrandola su questi aspetti. Così sarebbe un ente molto utile. Da qualche decennio l’attività principale è stata quella di gestire e trasferire il denaro. Questa attività può essere benissimo ricondotta in capo alla Regione Friuli-Venezia Giulia, rivedendo anche il sistema di finanziamento. Così come avviene coi fondi europei bisognerebbe non solo parlare di progetti, che credo siano indispensabili, ma anche degli obiettivi che questi progetti debbono porsi. Io credo che sarebbe bene rivedere tutto il sistema: farebbe bene a tutti e soprattutto ci sarebbe più consapevolezza che i danari pubblici vanno non soltanto gestiti meglio, ma spesi nella maniera più proficua possibile”.

Stefano Lusa