
Subito dopo la prima guerra mondiale le parti a nord-est della Mura, furono annesse alla regione slovena dell'ex Regno degli Sloveni, Croati e Serbi (SHS). Il libro di Göncz indaga proprio il periodo dei sommovimenti politici e delle operazioni militari che fra l’autunno del 1918 e l’agosto dell’anno successivo sancirono il passaggio di circa 20 mila cittadini di nazionalità ungherese sotto il controllo dell’SHS. Una decisione formalizzata col Trattato di Trianon nel 1920, presa al tavolo delle trattive dalle grandi potenze, dove l’Ungheria non fu invitata al contrario della Slovenia, parte della delegazione di quello che a breve sarebbe diventato il Regno di Jugoslavia. Fu così che la precedente maggioranza nel territorio nativo degli ungheresi della regione della Mura divenne una comunità minoritaria, ed è proprio intorno a questo fulcro che ruota il volume di Göncz, pubblicato nel 2024 e presentato a Lubiana in collaborazione con l’Istituto per gli studi etnici. E se il libro si pone come testimonianza storica, l’ex deputato della minoranza autoctona ungherese ha detto che la possibilità di discutere liberamente di questi temi è sintomatico dell’evoluzione di un rapporto sì complesso, ma ormai consolidato. Perché se è vero, come ha detto Göncz, che gli sloveni del Prekmurje parlavano ungherese meglio dello sloveno, è altrettanto vero che il generale Rudolf Maister, dopo gli eventi in Stiria e le battaglie in Carinzia, rivolse la sua attenzione al Prekmurje senza mai usare la forza militare. Göncz nel suo testo descrive a lungo anche la figura e il ruolo di Joszef Klekl, accusato di essere stato un propagandista ungherese durante il periodo jugoslavo, cui viene restituito il profilo di prete cattolico che si batté a lungo per l’indipendenza della marca di confine del Prekmurje, e lo sviluppo del dialetto del territorio come una lingua a sé stante, senza affiliarsi quindi allo sloveno né all’ungherese.
Valerio Fabbri


