Niente più elettricità o acqua corrente: il sindaco di Bihać, Šuhret Fazlić, ha annunciato che la municipalità non intende più coprire i costi di gestione del campo di Vučjak, in Bosnia nord-occidentale, dove attualmente vivono in condizioni estremamente precarie dai 1.500 ai 2.000 migranti e richiedenti asilo.
La decisione, accolta con forte preoccupazione dalle organizzazioni non governative attive nel campo, che parlano di rischio concreto di crisi umanitaria con l'inverno alle porte, arriva nel mezzo dello scontro tra municipalità e autorità centrali sulla responsabilità di gestire la difficile situazione.
Nonostante i ripetuti inviti dell'ONU e dell'UE a chiudere Vučjak, ritenuto totalmente inadeguato e pericoloso per la salute, le autorità del cantone Una-Sana continuano intanto a trasferire centinaia di migranti all'interno del campo dove - denunciano le ONG - al momento si fatica a trovare cibo e acqua per tutti.
Dopo la chiusura della cosiddetta "rotta balcanica" e l'innalzamento di veri e propri muri in paesi come Bulgaria e Ungheria, la Bosnia-Erzegovina ha visto un forte aumento di arrivi da parte di migranti che tentano di raggiungere l'Unione europea attraverso la Croazia. Il confine è però praticamente blindato, e in questi anni non sono mancate numerose denunce di respingimenti violenti della polizia croata da parte di Amnesty International e altre organizzazioni umanitarie.
A partire dal gennaio 2018, gli arrivi registrati dalle autorità bosniache hanno toccato le 40.000 unità, mentre secondo l'UNHCR, a fine luglio circa 8.000 migranti si trovavano all'interno del paese.
Francesco Martino