Un libro che aiuta a capire la storia dell’antifascismo sloveno nell’area di Trieste e del Carso, e soprattutto perché il monumento ai 4 fucilati di Basovizza sia così importante per la comunità slovena.
A un anno di distanza dalla versione in lingua slovena, è stata pubblicata anche la versione in lingua italiana del libro dedicato all’organizzazione antifascista “Borba” (Lotta), che iniziò l’attività contro il regime fascista nel 1927, dopo la distruzione sistematica da parte dei fascisti della rete dell'associazionismo sloveno e croato, e cessò di esistere nel 1930, anno in cui il tribunale speciale condannò a morte e fece fucilare i quattro componenti dell’organizzazione presso l'allora poligono di tiro militare nelle vicinanze di Basovizza.
L’edizione italiana è stata arricchita, oltre che dalla prefazione di Adriano Sofri, anche da un capitolo che racconta il proseguo della lotta antifascista fino al 1940. Il libro dedica spazio anche all’eco che ebbe il processo di Trieste nel mondo sloveno e a livello internazionale, ma soprattutto entra nelle vite e nelle personalità dei combattenti antifascisti per capire perché decisero di darsi alla lotta armata contro il regime.
Si tratta di uno strumento che offre soprattutto a chi non conosce la lingua slovena, e quindi non ha accesso diretto alle fonti, un’opportunità per conoscere e approfondire la storia di queste terre, e capire perché per gli sloveni il monumento di Basovizza sia un luogo così importante.
Anche di fronte al monumento ai 4 fucilati, oltre che alla Foiba di Basovizza, si diedero la mano un anno fa, a 90 anni esatti dalla sentenza del tribunale speciale fascista, i presidenti Borut Pahor e Sergio Mattarella: un atto simbolico che però è stato interpretato in maniera diversa in Italia e in Slovenia, hanno ricordato nel corso della presentazione del volume, organizzata a Trieste al Circolo della stampa, l’autore del libro, Milan Pahor, e lo scrittore e giornalista Adriano Sofri, che ha scritto una lunga prefazione analizzando il concetto di memoria condivisa, un obiettivo auspicato da più parti ma che non è mai stato raggiunto.
Non è una peculiarità italiana, ci ha spiegato Sofri, anche se storicamente, ha aggiunto l’Italia non sembra mai essersi impegnata su questo fronte. “Penso che la difficoltà ad arrivare a una memoria condivisa non sia tipicamente italiana, e che riguardi un po’ tutti i paesi e tutte le popolazioni. Forse la differenza che si può stabilire riguarda la buona volontà: persino nel luogo in cui si aspetterebbe di meno che questa cosa venisse affrontata coraggiosamente e lealmente, cioè tra palestinesi e israeliani, c'è stato un tentativo di fare insieme dei manuali scolastici che non provassero ancora ad avere una sola storia, ma mettessero a fianco le due storie in maniera da poterne fare una lettura simultanea, congiunta, e potersi misurare ciascuno con l'altro. Noi siamo stati in molto più riluttanti ad andare in questa direzione”.
In queste terre un momento di svolta è stato l’incontro dei due presidenti che si tenevano per mano di fronte al monumento dei quattro fucilati, oltre che alla Foiba, a Basovizza. Secondo lei è stato un momento esclusivamente simbolico o ha cambiato oggettivamente qualcosa nella visione della popolazione su quella fase storica?
“Penso che nella vita e in particolare nella vita dei posti di frontiera, che è una vita diversa dalle altre, molto più accanita e molto più feroce per certi versi, le cose simboliche abbiano un valore pratico formidabile. Quell'incontro mi ha colpito moltissimo: io non sono particolarmente ottimista su quello che fanno le grandi autorità, però in quell'incontro c'era qualcosa di più della decisione politica e diplomatica di mostrarsi ciascuno rispettoso della memoria altrui. Che in un periodo pandemia, in un periodo di obbligatoria distanza, che si chiamava malamente sociale, ma che era fisica, fra le persone, due personalità così solenni si prendessero per mano di fronte a quei due monumenti, ha avuto secondo me un’influenza straordinaria su chi ha saputo capirla. Purtroppo in gran parte dell'Italia questo gesto è sembrato valere solo per la parte della cosiddetta Foiba, e dunque un libro come quello di Milan Pahor, che adesso esce anche in versione italiana, è straordinariamente utile per tirare le fila di quel gesto simbolico, che altrimenti rimarrebbe un po' isolato”.
Cambiando argomento: lei è stato protagonista di periodi molto difficili della storia italiana, e anche questa, anche se per motivi completamente diversi, è un'altra fase difficile del paese. Come vede la situazione attuale caratterizzata da questo antagonismo fortissimo?
"Se si riferisce all'eventualità della nascita di un partito anti vaccini, io devo dire che vedo assolutamente con favore il fatto che le persone che si stanno occupando di questi problemi, di cui io non saprei non solo occuparmi, ma nemmeno capire le procedure, ci abbiano procurato così rapidamente la possibilità di essere almeno in larga parte al riparo da questo imprevisto flagello. Penso anche però che essere favorevoli ai vaccini non vuol dire avere una visione del mondo, è assolutamente naturale e un’ovvietà: il guaio è quando chi non è favorevole ai vaccini, fa diventare questa sua piccola paura o sua piccola superstizione una visione del mondo, e allora mi pare veramente difficile seguirlo”.
Alessandro Martegani