Sta per arrivare i momento della verità per la creazione di una larga alleanza politica del centro sinistra: l’attenzione è tutta rivolta verso Azione, forza politica emergente guidata da Carlo Calenda, che ha posto due pregiudiziali per accettare l’invito del segretario del Pd Enrico Letta a unirsi a una coalizione per battere il centrodestra.
Calenda in particolare ha chiesto al Pd di non candidare nei collegi uninominali esponenti politici che abbiano votato contro al governo Draghi e non concordano sui punti fondamentali dell’agenda del governo uscente, e anche di sottoscrivere un programma di massima su alcuni temi.
“A me – ha detto - sembra davvero il minimo sindacale per non mettere insieme un’accozzaglia totalmente incoerente e di scarsa qualità. Se la risposta sarà no, intanto che arrivi perché la stiamo aspettando, allora la responsabilità della rottura sarà interamente sua e noi a viso aperto andremo a combattere con una proposta di governo credibile per bloccare l'avanzata della Meloni”.
Dall’altra parte però Letta sembra rilanciare la palla ad Azione: “Stiamo mettendo tutto il nostro impegno a convincere tutti quelli che vogliono e possono far parte della nostra alleanza ad esserci. Non mettiamo veti, non abbiamo un atteggiamento men che costruttivo: un terzo polo aiuta le destre". "Quello che aiuta di sicuro la destra – ha replicato Calenda - è una coalizione eterogenea, confusa e poco credibile”
Fra i punti più spinosi ci sono le candidature nei collegi uninominali: Calenda ha posto il veto su alcuni nomi come quello del leader della sinistra Fratoianni, ma soprattutto su Luigi Di Maio, che il leader di Azione considera un trasformista.
Proprio Di Maio però fa ormai parte integrante del fronte progressista e ha presentato il nuovo movimento “Impegno Civico”.
Chi invece è ormai fuori da ogni trattativa è il Movimento 5 stelle, che si prepara ad affrontare le elezioni in autonomia, come nel 2018, ma con prospettive molto meno esaltanti: “I nostri ideali non sono negoziabili” ha detto Giuseppe Conte, che ha anche confermato la regola del limite di due mandati, un principio che estromette dalla competizione elettorale big del partito come l’attuale presidente della Camera Roberto Fico, ma anche la vicepresidente del Senato, Paola Taverna, la ministra Fabiana Dadone, il ministro Federico D'Incà e l'ex guardasigilli Alfonso Bonafede.
Alessandro Martegani