Da una parte la verità giudiziaria, con il rinvio a giudizio di quattro appartenenti ai servizi segreti egiziani per l’omicidio di Giulio Regeni, dall’altra la ragion di Stato, che porta l’Italia, se non a ignorare, perlomeno a ritenere il coinvolgimento del governo egiziano nel massacro del giovane ricercatore meno importante rispetto ai rapporti bilaterali con il Cairo.
Nemmeno la chiusura delle indagini da parte della Procura di Roma, che ha scritto su più di 90 pagine la terribile vicenda di Giulio Regeni, sembra aver smosso la diplomazia. In quasi 4 anni, dal ritrovamento in un fosso a lato di una strada del Cairo del corpo di Giulio Regeni, i magistrati sono riusciti ad arrivare a dei nomi, nonostante i tentativi di depistaggio che avevano cercato di portare le indagini su piste improbabili come un’incidente, la droga, l’omosessualità, fino alla rapina con omicidio da parte di una banda di criminali, tolta di mezzo prima dell’arrivo della polizia.
Per i magistrati a sequestrare e torturare per nove giorni Giulio Regeni sarebbero stati quattro appartenenti ai servizi segreti egiziani: il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, indagato, oltre che per sequestro di persona pluriaggravato come gli altri, anche per lesioni personali aggravate e omicidio.
Il rapporto dei magistrati ricostruisce quei giorni agghiaccianti, in cui Giulio Regeni, sospettato di essere una spia, è stato torturato dalla National Security egiziana: il corpo fu riconosciuto a stento perfino dalla madre, Paola Deffendi, che accanto al padre, Claudio Regeni e all’avvocato Alessandra Ballarin ha combattuto per arrivare alla verità.
Una battaglia in cui i Regeni non hanno però sentito vicino lo Stato: i Regeni hanno sempre contestato la decisione di riallacciare i rapporti con il regime di Abdel Fattah al-Sisi, che in questi anni non ha mai realmente collaborato alle indagini, evitando perfino di rispondere alle richieste di rogatoria dei magistrati italiani, non fornendo nemmeno gli indirizzi degli indagati che probabilmente non arriveranno mai in Italia. Al di là di dichiarazioni il principio, l’ultima quella del ministro degli esteri Luigi Di Maio che ha chiesto al governo egiziano “un cambio di passo”, Roma non sembra intenzionata a condizionare la propria politica verso il Cairo alla collaborazione sul caso Regeni.
“I diritti umani non sono negoziabili con petrolio, armi e soldi – ha detto l'avvocato Alessandra Ballarin, che ha chiesto al governo di interrompere le relazioni con il Cairo - e questo ce lo dimostra la famiglia Regeni. Vorremo la stessa fermezza e abnegazione da parte di chi ci governa, affinché dimostrino che la giustizia non è barattabile”.
Le molte ombre che ancora avvolgono la vicenda non oscurano però il risultato ottenuto: “Nessuno avrebbe pensato di arrivare dove siamo oggi – ha detto la madre di Giulio -, è una tappa importante per la democrazia italiana e per l’Egitto. La nostra lotta di famiglia è diventata una lotta di civiltà per i diritti umani, - ha aggiunto - che è come se agisse Giulio. Giulio è diventato uno specchio che riverbera in tutto il mondo come vengono violati i diritti umani in Egitto ogni giorno”.
Alessandro Martegani
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