In Italia in questi giorni è sempre più presente all'interno del dibattito politico la discussione sull'opportunità o meno di aderire all'iniziativa cinese della "nuova via della seta". Un accordo che prevederebbe lo sviluppo di una serie di infrastrutture che coinvolgerebbe anche il vicino porto di Trieste. Le paure emerse da parte dell'opinione politica locale e nazionale sono motivate? L'analista Matteo Bressan, che ha dedicato un libro proprio a questo tema, ci spiega innanzitutto di che cosa si tratta.
Quindi l'Italia e il porto di Trieste in qualche modo avrebbe tutto da guadagnarci?
Bisogna considerare che l'Italia già nel 2017 con il governo Gentiloni ha proposto di inserire Genova, Savona e Trieste in questo accordo. Anche il porto di Venezia tra l'altro ha siglato un accordo con l'autorità portuale del Pireo (già in mano ai cinesi) proprio per potenziare il traffico marittimo. E in queste settimane si parla anche di inserire un porto nel sud Italia con una mozione parlamentare tra i vari scali previsti. Quindi da una parte in Italia c'è un interesse a giocare un ruolo di qualche tipo ma dall'altro stanno emergendo toni da guerra fredda in questo scontro che oggi vede contrapposti la Cina agli Stati Uniti. Non vorrei che questo clima andasse a inficiare l'analisi dei dati oggettivi. Sarebbe quini necessario prima parlare dei parametri economici per poi fare intervenire la politica che deve invece fissare i paletti per tutelare le aziende e la manodopera italiane. Inoltre, è necessario fare in modo che gli scambi non siano unidirezionali, ma che si avvia una sorta di cooperazione triangolare.
Barbara Costamagna