Giorgia Meloni impegnata nella non facile composizione della squadra di governo da una parte; il Pd che cerca di riorganizzarsi dall’altra. Sono le due facce del dopo elezioni in Italia.
L’attenzione maggiore è concentrata sulle mosse della futura premier Giorgia Meloni che, incurante del dibattito che continua svolgersi sul rischio di una deriva autoritaria del paese, sta continuando a incontrare le varie componenti della sua futura maggioranza per definire un programma e soprattutto una squadra di governo che, ha detto la stessa Meloni in una riunione della direzione del suo partito, dovrà essere credibile.
L’attenzione è tutta concentrata sulle sue mosse, e in questa fase la leader di Fratelli d’Italia non si può permettere passi falsi: la sua azione sembra per ora improntata al dialogo, anche se non sono mancati spunti polemici con lo stesso Mario Draghi. “Ereditiamo una situazione difficile: i ritardi del Pnrr sono evidenti – ha detto Meloni - e siamo consapevoli che sarà una mancanza che non dipende da noi, ma che a noi verrà attribuita anche da chi l'ha determinata”. Immediata la replica dio Mario Draghi: “Il Governo ha adottato tutte le misure necessarie a favorire una efficace attuazione del piano” ha detto, “spetta ovviamente al prossimo governo continuare il lavoro di attuazione, e sono certo che sarà svolto con la stessa forza ed efficacia”.
Riguardo i nomi dei ministri Meloni ha tagliato corto, mettendo in chiaro che le nomine non possono essere uno strumento per sanare scontri interni di partito: un messaggio che va dritto alla Lega, che dopo il deludente risultato delle elezioni è in cerca di rilancio.
Uno dei nodi è proprio l’opportunità o meno di far ritornare al ministero degli interni Matteo Salvini, un’ipotesi accarezzata dal leder del Carroccio, ma delle quale la futura premier non sembra entusiasta. Salvini non sarà però probabilmente l’unico esponente politico che dovrà rinunciare a una poltrona da ministro per far spazio a tecnici o a nomi autorevoli.
E sui nomi, questa volta per rifondare il partito, ragiona anche il Pd, che questa mattina ha riunito l’Assemblea nazionale. Il segretario Enrico Letta, che lascerà dopo il congresso, ha chiesto che le capogruppo alla Camera e al Senato siano delle donne, e ha sottolineato la necessità di segnare una svolta che però, dicono nei corridoi della sede del Pd, dovrà iniziare anche da un profondo rinnovamento della classe dirigente. Fin da oggi però, ha aggiunto Letta, comincia il lavoro all'opposizione, che per il segretario uscente dovrà essere intransigente e costruttiva, e in collaborazione con gli altri partiti che non fanno parte della maggioranza.
Alessandro Martegani