"Dimenticavo di dirLe che, per scrivere, bisogna avere qualche cosa da scrivere”. Così Primo Levi rifletteva sul mestiere dello scrittore. Lui che cose da scrivere, suo malgrado, ne ebbe e molte; a partire dalla cronaca ed analisi impietosa che nei suoi libri più famosi fece del mondo concentrazionario, che conobbe come prigioniero ebreo di Auschwitz.
Levi da uomo di scienza, lui che di lavoro per tutta la vita fece il chimico, guardò alla sua storia di deportato come si analizza un composto cercando di estrapolare i vari elementi che fecero sì che una bestialità del genere potesse accadere. Nel farlo, però, non escluse nessuno, neanche sé stesso, e sia nel suo romanzo più famoso “Se questo è un uomo” sia nei “Sommersi e salvati” e nella “Tregua”, trascina l’intera umanità nell’abisso, dove il male si può nascondere in forme diverse in ognuno di noi.
E proprio la consapevolezza di questo, nonostante il tentativo di una vita dedicata in qualche modo a rielaborare il proprio lato oscuro emerso durante i mesi di prigionia per sopravvivere, lo portò secondo alcuni a suicidarsi l’11 aprile 1987, cadendo dalla rampa di casa sua. Comunque sia andata Primo Levi continua a vivere con i suoi libri, conosciuti e tradotti in tutto il mondo, che chiunque voglia affrontare la Shoah non può esimersi da leggere, anche se in realtà il suo lavoro di scrittore fu molto più articolato affrontando anche temi di vita quotidiana, sempre con il suo stile semplice e pulito che anche quando parlava di Auschwitz non faceva sconti a nessuno, neanche alle vittime, perché secondo Levi “se comprendere è impossibile , conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, e le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre” .