Dopo i tragici fatti di Genova il Governo italiano si è scagliato contro Autostrade per l'Italia, il gruppo che ha in concessione il tratto di cui faceva parte anche il viadotto sul Polcevera. Il premier Giuseppe Conte ha annunciato che sarà avviata la procedura per la revoca della concessione, anche senza le risultanze in sede penale. Provvedimento che rischia però di essere un vero e proprio boomerang, causando ulteriori problematiche alla manutenzione delle autostrade italiane.
Sentiamo l’opinione dell’architetto triestino sull’eventualità di una revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia: “l’Italia, quando ha privatizzato, lo ha fatto perché ha un debito che è il 130% del PIL, cioè il 130% di quanto produce. Il Paese ha un bisogno disperato di soldi e ce l’aveva quando ha fatto, quindici-vent’anni fa, il grande giro di privatizzazioni. Ci sono molte risorse private e una partnership è un accordo fra privato e pubblico, che non sta più in piedi. Ricordiamo solo che le privatizzazioni sono nate dopo Tangentopoli, quindi lo Stato ha ampiamente dimostrato di non saper fare né il gestore né il controllore, come purtroppo è evidente dopo gli ultimi tragici avvenimenti. Pensare oggi e sentir parlare di nazionalizzare e ricomprare le autostrade mi sembra follia pura. Ricordiamo che le autostrade rimangono comunque pubbliche e sono semplicemente date in concessione. Trattandosi di contratti mostruosi penso che ci voglia molta tecnica, molta prudenza e molto sapere. Vedere persone che blaterano e che dicono che bisogna tagliare contratti del genere mi sembra inconcepibile, non ha proprio senso ed è una frase di una gravità assoluta, al di fuori di qualsiasi pensiero politico. Lo Stato ha bisogno di fare un enorme piano di manutenzione delle proprie infrastrutture e costruirne di nuove. Ma un piano di manutenzione di questo tipo, questo Stato, con i soldi delle casse pubbliche non lo può affrontare. Lo può fare solo trovando e coinvolgendo capitali privati. Far saltare accordi di lunghissima data con i privati vuol dire non trovare mai più gente che sia in grado di investire in Italia”.
Davide Fifaco