51 mila tonnellate di stazza, 268 metri di lunghezza, 870 persone di equipaggio: sono solo alcuni dei numeri del Rex, la nave diventata un mito dell’ingegneria navale italiana.
Gigantesco, lussuoso e veloce, simbolo della potenza navale fascista, il Rex diventò una leggenda dopo aver conquistato il Nastro Azzurro nel 1933.
Fu una nave che anticipò il concetto moderno di crociera di lusso, ma anche una risorsa economica per il paese, un esempio d’innovazione industriale, e una speranza di progresso dell’epoca: anche Fellini lo rappresentò in una delle scene culminanti di Amarcord.
Era una nave unica, capace di attraversare l’Atlantico in meno di 5 giorni, e dove perfino la terza classe, usata dalle famiglie italiane per migrare negli Stati uniti, era comoda e dotata di tutte le strutture per trascorrere il viaggio senza disagi, come sale ricreative, passeggiate e ristoranti. Era però nei ponti superiori, destinati ai passeggeri più importanti, che il Rex dimostrava tutta la sua magnificenza: la prima classe aveva sale ristorante lussuose, un cinema, la chiesa, due piscine con spiaggia, sale per i massaggi dotate perfino di rudimentali lampade abbronzanti.
Percorrendo la rotta a sud, per consentire l’uso delle piscine all’aperto, poteva offrire ai passeggeri una vera e propria vacanza di lusso. I costi erano elevati, solo pochi potevano permettersi un viaggio in prima classe, e, per non perdere clienti, a bordo del Rex erano state perfino sospese le leggi razziali, che non avrebbero consentito alle ricche famiglie ebree d’imbarcarsi in prima classe.
La storia della nave, incendiata e affondata dagli aerei alleati nel 1944 al largo di Isola, dove tutt’ora si trovano resti del relitto, è stata raccontata con immagini d’epoca e testimonianze dal documentario “TRANSATLANTICO REX – NAVE N° 296”. Prodotto da BlueFilm con Istituto Luce Cinecittà, è stato presentato in anteprima al cinema Ariston di Trieste dallo stesso regista Maurizio Sciarra.
“È stato interessante riportarlo in vita – spiega - perché era un’icona italiana, è stato un'icona italiana, in un periodo il simbolo della potenza fascista, ma è stato anche il simbolo dell'innovazione, dell'alta ingegneria, della creatività e dell’operosità degli italiani. Come raccontiamo nel film, a un certo punto il cantiere del Rex è stato anche sostegno alla popolazione: era un'operazione che si sapeva sarebbe andata quasi in perdita, ma che è stata fatta apposta per mantenere occupazione e per mantenere alto il simbolo dell'operosità italiana. Questa cosa, al di là della retorica fascista, ci dovrebbe far pensare su come le opere servono, le grandi opere, la cantieristica serve.”
Il Rex è stato affondato: se non fosse successo questo, a suo parere avrebbe avuto lo stesso mito? La grandiosità della nave sarebbe bastata? O affrontare una demolizione ne avrebbe demolito anche il mito?
“Abbiamo chiesto ai protagonisti del film che cosa sarebbe successo: secondo loro è innegabile che il mito si crea anche con l'interruzione improvvisa, e, come in questo caso, dolorosa di un'esperienza, ma è quella esperienza che ha portato il mito del Rex a mantenersi tale. Se noi guardiamo a quello che è successo agli altri grandi transatlantici, anche quelli che sono venuti dopo, come la Queen Mary che adesso giace a Dubai, un po' un relitto triste, capiamo che forse è meglio finire così”.
Tecnicamente la realizzazione di questo documentario che difficoltà ha riservato?
“La cosa molto difficile di questo documentario è che, siccome son passati tanti anni dalla fine del Rex, era difficile avere materiale di prima mano, che è quello che in genere rende più caldi i film. Siamo riusciti però in un colpo grosso: avere l'ultimo vero protagonista del primo viaggio del Rex. All'epoca aveva 16 anni, era l'ascensorista del Rex, quello che, fra l'altro, materializzava il cambio sociale a seconda dei piani dove si fermava l'ascensore, l'ultimo testimone diretto. Siamo però riusciti a mettere insieme un'altra parte importante: il Rex vive attraverso i collezionisti, una serie testimoni che ci hanno mostrato in che modo gli oggetti del Rex oggi vivono e continuano a vivere.”
Dal punto di vista personale come è cambiata l'immagine di questo mito dentro lei?
“Io sono nato a Bari, sullo stesso mare Adriatico. Io trovo che l'Italia stenti a raccontare le storie di mare, e l'epopea del mare e del Rex è stata un'occasione per capire come si possono raccontare delle storie in mare. Attualmente io sto pensando addirittura a una storia ambientata su una piattaforma, ma questa è stata un modo anche per riacquistare, nel racconto cinematografico, il rapporto con il mare”.
Alessandro Martegani