“Shabbar non sa da chi è stata uccisa la figlia e vuole saperlo”. Queste le prime parole dell’avvocato del padre di Saman, che si è presentato davanti alla Corte. La difesa ritiene che l’uomo sia stato dipinto come il mandante dell’omicidio, ma lui vuole giustizia e smascherare i veri colpevoli. “Non è uno show, è un processo: lui è detenuto per l’omicidio della figlia, è una persona emotivamente molto provata, non solo dalla carcerazione, che ha un impatto molto secondario sul suo stato emotivo” ha continuato l’avvocato difensore rispondendo alle domande riguardanti lo stato d’animo del suo cliente. Il processo per la morte della ragazza, che si sarebbe opposta a un matrimonio combinato, è ricominciato a seguito della pausa estiva, e solo una settimana dopo l’estradizione dell’imputato dal Pakistan. Durante l’udienza si è discusso proprio di questo, del dettame islamico riguardo i matrimoni forzati. Il legale di Shabbar ha spiegato che da parte della famiglia della diciottenne venuta a mancare, c’era stata una richiesta con indicazioni di un marito, però è stato chiarito che ciò non comportava la possibilità del padre di obbligare la figlia con forza ad accettare l’unione. In aula Abbas ha parlato anche della moglie, ancora latitante, e ha dichiarato che, quando la polizia si è presentata a casa loro, lei era nell’immobile, mentre lui è stato arrestato. Da quel momento, tenendo conto delle sue parole, non ha più avuto rapporti o contatti con la moglie o con altri familiari. Durante l’udienza la Corte del tribunale di Reggio Emilia ha deciso per un allungamento dei tempi del processo, che di conseguenza difficilmente arriverà a sentenza entro la fine dell’anno.
B.Ž.