La stretta del governo italiano, decisa dopo un fine settimana di confronti e trattative con le categorie economiche, le Regioni e le forze politiche, giunge dopo una settimana di crescita dei contagi, su cui il decreto dello scorso 7 ottobre non sembra aver sortito alcun effetto.
I contrasti maggiori nel corso del confronto sembrano essere stati generati dalla richiesta di chiudere le palestre, un provvedimento che aveva incontrato la resistenza del ministro dello Sport Spadafora, e naturalmente della categoria: la soluzione trovata è un compromesso, che in realtà punta solo a far rispettare norme già esistenti. Rimangono limitati gli sport da contatto, e palestre e piscine avranno una settimana di tempo per adeguarsi alle nuove regole di prevenzione; è già previsto però il blocco per gli sport dilettantistici di squadra, oltre che per quelli amatoriali.
Si punta però a ridurre le occasioni di contagio soprattutto nei locali e nelle aree in cui si svolge la vita notturna e ricreativa: una novità riguarda l’attribuzione ai sindaci del potere di chiudere piazze e strade alle 21 per far rispettare il divieto di assembramento.
In ogni caso le attività di bar e ristoranti saranno consentite dalle 5 del mattino a mezzanotte, ma solo con consumo al tavolo fino a massimo di 6 persone; senza consumo al tavolo si può servire solo fino alle 18. Tutti dovranno esporre all’ingresso del locale un cartello che riporti il numero massimo di persone ammesse contemporaneamente. Consegne a domicilio e da asporto fino a mezzanotte.
Sale giochi, scommesse e bingo lavoreranno dalle 8 alle 21. Non sono consentite sagre e fiere di comunità, mentre sono confermate “le manifestazioni fieristiche di carattere nazionale e internazionale ed i congressi”.
Nulla cambia sulla scuola, uno dei punti fermi del governo che vuole mantenere le lezioni in presenza, con il solo invito agli istituti secondari ad adottare orari flessibili, anche con lezioni pomeridiane, incrementando la didattica digitale a distanza. Dal governo è giunto anche l’invito a usare i mezzi privati per raggiungere i luoghi di lavoro e fare affidamento allo smart working, per non sovraccaricare i mezzi pubblici.
In generale il tentativo è quello di toccare il meno possibile attività economiche e scongiurare il rischio di chiusure più o meno totali, che ben difficilmente la già provata economia della penisola potrebbe reggere, ma non mancano le voci contrarie, come quella dei sindaci che accusano l’esecutivo di aver scaricato sui comuni la responsabilità delle chiusure. L’Associazione nazionale comuni italiani ha fatto sapere che non parteciperà più ai lavori della cabina di regia governo-enti locali, nonostante le rassicurazioni del governo sulla fornitura di uomini e mezzi per applicare i divieti.
Alessandro Martegani