Per ora la prima risposta positiva all’offerta del fondo americano Kkr l’hanno data i mercati, con il titolo che ha guadagnato in apertura di settimana, ma la vicenda, che potrebbe portare il maggior fornitore di servizi di comunicazione italiano nelle mani di un fondo americano, è appena all’inizio e piena d’incognite.
La Kkr, Kohlberg Kravis Roberts, fondo che amministra asset per 429 miliardi di dollari, pari a 380 miliardi di euro, ha presentato a Tim una manifestazione d’interesse, anche se “non vincolante e indicativa”, per acquistare il 100 per cento delle azioni con l’intenzione fra l’altro di far uscire dalle quotazioni in borsa la società, che negli ultimi 5 anni aveva visto dimezzarsi il valore dei propri titoli.
L’offerta è di poco più di 50 centesimi ad azione, superiore alle quotazioni di mercato anche se questa mattina il valore si è immediatamente avvicinato questa quota, con un valore complessivo dell’operazione, definita non ostile dal Consiglio di amministrazione di Tim, pari a 10,8 miliardi di euro, quasi tre in più del valore stimato della società, che ha anche debiti per 22 miliardi.
La Kkr si è presa un mese per fare delle verifiche, ma in ogni caso l’operazione, che gli esperti di geopolitica hanno interpretato anche in chiave anti cinese, è vincolata “al gradimento dei soggetti istituzionali rilevanti”, vale a dire la società francese Vivendi, socio di riferimento che per ora ha preso le distanze dall’offerta e punterebbe a rimanere nella società, e il Governo, che ha il potere di bloccare o accettare un’offerta su una società ritenuta strategica per gli interessi nazionali, e che tramite il Ministero dell’Economia controlla quasi il 10 per cento delle azioni.
In una nota il governo ha preso tempo, definendo comunque l’interesse da parte di investitori qualificati a fare investimenti in importanti aziende italiane “una notizia positiva per il Paese”. Palazzo Chigi ha comunque già deciso di creare un comitato con ministri ed esperti del settore per valutare la situazione.
La partita dunque è non è chiusa e non è nemmeno alle fasi finali, perché sul colosso italiano delle telecomunicazioni ci sono in arrivo altre manifestazioni d’interesse, fra le altre quelle dei fondi Advent e Cvc, e anche della banca giapponese Nomura.
Non è escluso nemmeno un ritorno di Tim sotto il controllo dello Stato, anche se in forma più leggera, senza la gestione dei servizi di rete.
Alessandro Martegani