Arianna Szörényi aveva 11 anni quando una mattina presto del giugno 1944 i nazisti la prelevarono a seguito di una delazione nella sua casa di San Daniele del Friuli
insieme ai genitori, i fratelli e le sorelle. Lei e i suoi cari furono portati prima al comando delle SS a Udine, poi alla Risiera di San Sabba a Trieste, e da lì, caricati su carri bestiame, ad Auschwitz-Birkenau. Su nove famigliari, solo due fecero ritorno. A San Daniele i Szörényi erano sfollati da Fiume l'anno prima, per sfuggire ai bombardamenti e alle persecuzioni razziali. Il padre era un ebreo di origini ungheresi, la madre triestina e cattolica.
La storia della sua deportazione e l'orrore dei campi Arianna Szörényi li ha raccontati in un libro di memorie ("Una bambina ad Auschwitz") e centinaia di volte di fronte a platee di studenti, perché si sappia cosa è stato, perché nessuno possa mai dimenticare e negare la Shoah. Ad Auschwitz per qualche mese riesce a non separarsi dalle madre e dalle sorelle, poi viene spostata al Kinderblock, il blocco dei bambini destinati ad atroci sperimentazioni mediche. Ad Arianna non successe, probabilmente perché era nata da un matrimonio misto. Un ricordo terribile fra i tanti di quei giorni: un neonato, messo in un sacco e lanciato in aria mentre le SS prendevano la mira. E la ciminiera del forno crematorio che fumava sempre. Nel dicembre del 1944 comincia l'evacuazione, Arianna Szörényi affronta la 'marcia della morte' fino a Ravensbrück, tre giorni nella neve, con i piedi congelati, infine è trasferita nel lager di Bergen-Belsen, liberato il 15 aprile 1945. Pesava 18 chili. Prima di venire rimpatriata in Italia passerà
cinque mesi in un ospedale militare inglese. Rientrata a san Daniele, sarà accolta in un orfanotrofio da cui uscirà per trasferirsi a Milano, dove vive tuttora e dove il Comune, due anni fa, l'ha insignita dell'Ambrogino d'oro per la sua preziosa attività di testimone della Memoria. Un dovere morale a cui non si è mai sottratta, anche se, come ha ricordato anche in un'intervista di questi giorni, angoscia e incubi non l'hanno mai abbandonata. Perché "nessun ex deportato può condurre una vita normale dopo tutte le atrocità viste e subite".
Ornella Rossetto