Con il progetto Highlands & Sea ci troviamo ad iniziare un viaggio, di cui non sappiamo bene né la direzione e né dove ci porterà. Nel titolo tci sono due elementi paesaggistici, due elementi che ci legano al pianeta terra: il mare (Sea) e le Highlands, cioè gli altipiani. Si tratta di due luoghi geologici molto lontani tra di loro, una lontananza che confrontare con quella che separa la musica antica dalla musica contemporanea. I nostri due ciceroni sono la cantante Laura Catrani e l’organista e cembalista Claudio Astronio che mettono all’inizio del booklet al CD queste parole esplicative: “Highlands & Sea nasce dall’incontro delle geografie interiori di due musicisti di provenienze diametralmente opposte”.
Se per i conoscitori della musica vocale il nome di Laura Catrani evoca soprattutto dimensioni contemporanee, quello di Claudio Astronio è invece legato alla musica antica. La Catrani ha al suo attivo numerose prime mondiali di composizioni che sono state scritte per lei, ma vi affianca una dichiarata predilezione per il repertorio barocco e settecentesco. Claudio Astronio è invece clavicembalista, organista e direttore d’orchestra, organizzatore, fondatore e direttore artistico del festival Antiqua di Bolzano, ma anche il suo mondo musicale esce dal seminato della musica antica, collaborando con musicisti diversi, tra cui anche jazzisti.
Attraverso le narrazioni sonore di Laura Catrani e Claudio Astronio ci troviamo di volta in volta sugli altipiani della musica contemporanea oppure nuotiamo nel mare di quella antica. La musica contemporanea è spesso una musica di ‘difficile’ fruizione, ha bisogno di preparazione e attenzione, come quando si vuole scalare una montagna … e per arrivare sull’altipiano bisogna inerpicarsi, seguire un sentiero che implica la fatica del cammino in salita; la musica antica è invece all’orecchio del fruitore moderno più gentile, più carezzevole, ci si può nuotare (se rimaniamo nella stessa metafora di luoghi geografici) tranquillamente.
Questa doppia natura del CD Higlands & Sea è sottolineata anche nel frontespizio del disco, modulato su una foto in bianco e nero dei due interpreti, in cui spicca il titolo a lettere gialle, lo stesso giallo carico che poi si ritrova nell’interno del booklet. La scelta grafica e l’asciuttezza della foto del frontespizio, ci suggeriscono una severità e profondità di ricerca, un andare all’essenzialità, al fondamento.
Il CD, edito dalla Ulysses Arts, ci porta dal Seicento monteverdiano alla contemporaneità attraverso le diverse declinazioni di voce e clavicembalo, voce sola, voce e organo, clavicembalo e organo soli in una caleidoscopica vertigo che è anche il significativo titolo del virtuosistico brano per clavicembalo solo, scritto da Jean-Nicolas-Pancrace Royer nel 1746, e che viene interpretato nel CD da Astronio. Intorno a questo asse di vertigine sonora i due musicisti dispongono le loro scelte musicali, in cui intrecciano strettamente, ma con oculato senso per la varietà di ascolto, l’antico con il contemporaneo. Apre il CD un brano di Claudio Monteverdi (1567-1643), uno dei padri fondatori della musica occidentale. Nella sua canzonetta Ohimè ch’io cado il grande Cremonese indica nell’andamento melodico l’acmé dell’innamoramento e la successiva caduta emotiva: ‘che mi sia la prigion per si bella cagion il paradiso’. Del Seicento e del Settecento e dall’imponente repertorio operistico e oratoriale che questi due secoli offrono, i due interpreti hanno scelto quattro arie, e cioè dal King Arthur di Henry Purcell (1659-1695), da La Susanna di Alessandro Stradella (1639-1682), dal Tito Manlio di Antonio Vivaldi (1678-1741) e dallo Xerxes di Georg Friedrich Händel (1685-1759). Nota Luca Ciammarughi, autore del commento che accompagna il CD, che nell’aria Fra le procelle Vivaldi alla sicurezza del porto contrappone le procelle, evocando così un fenomeno naturale come metafora di uno stato emozionale di particolare intensità. Molto denso, intenso e compositivamente ardito, è anche lo spettacolare canto di Susanna, in cui Stradella coglie il momento di disperazione estrema della giovane che vede nella propria bellezza la condanna, “mi condanna a morir la mia beltà”. Nell’aria di Xerxes – che alla sua prima rappresentazione londinese era interpretato dal famoso castrato Caffarelli - Händel sottolinea lo smarrimento del protagonista con grandi salti e l’impervia scrittura virtuosistica che ben rende il furore del testo: “Crude furie degl’orridi abissi, aspergetemi d’atro veleno!”. Con Purcell ci ritroviamo invece in un’atmosfera algida, creata dal genio del Freddo che canta l’aria cromatica “What power art thou”, in cui i brividi sono l’ingrediente principale, brividi che sono presenti nella parte strumentale, ma anche nella parte cantata che si conclude con una discesa verso la morte con il verso “Let me, let me freeze again to death”.
Nel CD Highlands & Sea a questi intensi brani antichi fanno da contraltare sei brani del XX e del XXI secolo. Il primo in ordine cronologico è un canto che John Cage, uno dei guru della musica contemporanea, ha sviluppato sulle parole, tratte da Finnegans Wake, che James Joyce dedica a Isobel “wildwoods eyes and primarose hair”, parole che ci suggeriscono le sensazioni di un bosco notturno, coperto di rugiada e silenzioso. All’avvincente voce di Laura Catrani risponde il discreto risuonare del pianoforte che viene percosso nella sua parte esterna, sul legno da Claudio Astronio. L’estrema asciuttezza di Cage viene controbilanciata da un pieno sonoro costante di Philip Glass e dal suo Mad Rush, presentato all’organo solo (Glass indica come possibili strumenti il pianoforte o l’organo) da Astronio, in una specie di spirale autoreferenziale. A completare la proposta per strumento solo, che è in questo caso il cembalo, la composizione di Olli Mustonen Sielulintu, l’uccello dell’anima che nella tradizione finnica porta l’anima ai nascituri e la toglie a coloro che lasciano questo mondo. La contemporanità di questo CD è arricchita da un breve haiku, tratto dal ciclo di Otto canti di Alessandro Solbiati e da ben due brani per voce sola, il primo di Massimo Botter Il mare antico del 2010 e il secondo di Emanuele Casale Cielu Niuru del 1996. Nel brano a voce sola Botter si confronta con un mare antico, la cui “vastità è troppo grande”. Laura Catrani con la sua interpretazione ci avvicina a questo mare antico, vasto, all’idea del mare che si conclude con una nota acuta, ma cantata in sordina, come un velo che ci preclude l’esperire immediato, ma che ci fa intravvedere i bagliori marini. Casale, invece, sviluppa la sua melodia confrontandosi con il testo dialettale, in cui l’autore Biagio Guerrera pone la natura come specchio per il dolore di una donna che ha perso il figlio, un dolore che viene interpretato e che trova una sua espressione soprattutto nella scrittura tra i quarti di tono che si sviluppano in un canto punteggiato da acuti isolati.
Il CD si conclude con My Heart in the Highlands, brano composto dall’Estone Arvo Pärt nel 2000 su un antico testo scozzese. Un racconto lento, sillabico su una singola nota che si appoggia su un ipnotico basso continuo circolare nella fissità del racconto vocale, punteggiato dalla sapiente scelta dei registri organistici, con cui Astronio segna i diversi passaggi testuali.
Il CD Highlands & Sea, sintesi di un progetto di ricerca di due musicisti curiosi, è un sentiero che porta l’ascoltatore a conoscere i diversi aspetti antichi e contemporanei, in cui la voce e il clavicembalo (o organo) trovano il modo di esprimersi. La nostra attenzione può essere catturata dalle diverse sfumature, dalle diverse nuances che la voce e/o lo strumento si trovano ad interpretare in queste registrazioni. Alla fine dell’ascolto, rientrando nella vita di tutti i giorni, non si può dire di non essere stati catturati da sensazioni, molto diverse tra loro, che questi brani ci hanno offerto, come tracce lasciate da spiriti sconosciuti che hanno arricchito il nostro vissuto sonoro.