A Lubiana i protagonisti di allora hanno commemorato quei fatidici giorni. Ormai i tempi erano maturi per le riforme e per un’apertura europea, a capirlo è stata la Lega dei Comunisti Sloveni la quale delegazione trenta anni fa propose invano al Congresso centrale della Lega di Belgrado di attuare le modifiche necessarie. Tra queste una maggiore autonomia delle organizzazioni in mano alla Lega e l’avvio dei processi di democratizzazione. Fu così inevitabile la rottura, con il conseguente abbandono del Congresso da parte della delegazione slovena avvenuto il 23 di gennaio del 1990. La delegazione formò poi il Partito del rinnovamento democratico. La decisone presa dalla delegazione slovena è stata strategica, lo ha affermato il Presidente della Camera di Stato, Dejan Židan, sottolineando che l’indipendenza slovena è il frutto di una serie di passi compiuti tra i quali vi è appunto quello della delegazione slovena.
Per costruire le fondamenta di uno stato indipendente i passi compiuti sono stati molti. Tra i passi più importanti o se non quello cruciale è stato sicuramente l’abbandono della delegazione slovena del quattordicesimo congresso della Lega dei Comunisti. Questo gesto come tanti altri va rispettato. Solamente così potremo conservare e sviluppare la Slovenia. Dico insomma no al revisionismo.
Quale è stato il messaggio che volevano lanciare i delegati
Dejan Židan: Il messaggio è stato chiaro. L’interesse sloveno sopra ogni altro tipo di interesse. Questo messaggio dovrebbe essere chiaro anche oggi a noi cittadini sloveni. I tempi stanno cambiando. In quell’epoca il nostro desiderio era l’indipendenza con l’obiettivo di ottenere uno stato equo e più sociale. Sono tutti principi sanciti dalla stessa Costituzione. Questi principi devono essere chiari oggigiorno, ma la situazione è cambiata notevolmente. Oggi la lotta riguarda lo spazio pubblico ed il bene pubblico che possiamo definire come uno spazio verde. Se riusciremo ad ottenere un ampio consenso su questi valori base raggiungeremo una grande vittoria sia come popolo che come stato.
Milan Kučan, ex Presidente della Repubblica sloveno e precedentemente membro del Comitato centrala della Lega ha invece puntato sulla modalità con la quale i delegati hanno abbandonato l’aula, dando un chiaro segnale ai vertici del Partito unico. Il gesto è stato concordato dalla dirigenza slovena, ha poi sottolineato Kučan.
Milan Kučan: Il gesto è stato un atto di dignità che ha prodotto delle conseguenze sulla vita delle persone e sul futuro del paese. Con quel gesto abbiamo fatto capire che non stiamo fuggendo dai problemi e dalle nostre responsabilità. Quello compiuto a Belgrado 30 anni fa è stato un gesto d’orgoglio. E la stessa indipendenza slovena è stata giustificata da argomenti forti e motivati a livello jugoslavo ma anche sul piano internazionale.
Innanzitutto siamo sloveni e poi comunisti, quando è stato ribadito questo concetto
Milan Kučan: Questo concetto lo abbiamo ribadito durante una sessione del Comitato centrale. All’epoca ci è stato richiesto di interrompere l’assemblea dei comunisti sloveni durante la quale stavamo approvando le integrazioni alla costituzione volte alla futura indipendenza. Tutte queste pressioni sono state respinte da parte nostra ribadendo il concetto che innanzitutto siamo sloveni e in un secondo momento comunisti e abbiamo l’obbligo di rispondere alle esigenze del nostro popolo.
D’accordo Ciril Ribičič, allora Presidente della Lega dei Comunisti sloveni e a capo della delegazione, il quale ha aggiunto che la decisone presa ha poi influenzato l’atteggiamento delle restanti repubbliche.
Ciril Ribičič: Già nel dicembre del 1989, un mese prima del quattordicesimo congresso della lega abbiamo approvato una serie di proposte che abbiamo deciso di chiamare per la qualità della vita Europea. Questa idea è nata dopo che abbiamo ammesso che il paese socialista più sviluppato a livello occidentale, la Slovenia, non può più competere con i paesi occidentali. Abbiamo redatto un documento che abbiamo presentato come Adesso Europa, ma è stato sottovalutato. Il dibattito è stato deviato sull’indipendenza o meno della lega dei comunisti sloveni dalla centrale, mentre i temi quali l’integrazione europea e i diritti umani sono passati in secondo piano.
Quando ha capito che la Jugoslavia non aveva più futuro.
Ciril Ribičič: Io ho iniziato seriamente a temere per il futuro della Jugoslavia nel momento antecedente al quattordicesimo congresso della Lega dei Comunisti con il boicottaggio dei prodotti sloveni e la fine della collaborazione tra le aziende slovene e quelle serbe. Il primo pensiero che mi è venuto in mente ha riguardato le conseguenze di una potenziale perdita per la Slovenia del mercato unico jugoslavo grazie al quale veniva finanziato il funzionamento dello stato, dell’amministrazione, il corpus diplomatico e altro. La situazione era paradossale, da una parte Belgrado esigeva la massima obbedienza al centro mentre d’altra parte ha deciso di interrompere la collaborazione economica e così penalizzare lo sviluppo economico sloveno. È pero vero che già prima, circa 15 anni fa, la Slovenia si è affacciata al mercato occidentale ritagliandosi una piccola fetta che ci ha agevolato poi a disgregazione compiuta.
Quale’ stato il ruolo al Congresso di Ivica Račan, a capo della delegazione croata, il quale si è duramente scontrato con Slobodan Milošević
Ciril Ribičič: Il ruolo svolto da Ivica Račan è stato molto importante. Ha avuto un ruolo molto importante all’interno della delegazione croata. Ha deciso di intraprendere un percorso democratico per il suo paese e di mettere al voto l’abbandono o meno del congresso. La delegazione era composta da numerosi membri di nazionalità serba. Per la Slovenia è stato molto importante in quanto nel momento in cui ci avrebbero potuto impedire di lasciare il Congresso è stato appunto Račan il problema principale con il quale erano alle prese i delegati. Račan ha dimostrato anche in un secondo momento con l’accordo sul contenzioso confinario stipulato con Drnovšek che si tratta di uno dei pochi politici che credeva nei rapporti di buon vicinato.
La storia slovena come anche la letteratura è piena di figure ribelli
Ciril Ribičič: Il nostro Dna presenta elementi di servilismo ma anche di ribellione. In questo caso per fortuna ha prevalso il secondo aspetto. Posso affermare che allora la maggioranza non pensava che siamo in grado di un gesto così plateale soprattutto perché ci reputavano un elemento molto costruttivo nell’allora Jugoslavia.
Insomma, è stata colta al balzo un’occasione storica, ha invece detto Janez Kocjančič, membro della delegazione; l’indipendenza è frutto della volontà del popolo sloveno e non certamente merito di certi personaggi, ha aggiunto. Sentiamo ora lo storico, Božo Repe.
La Comunità internazionale considerava la Jugoslavia nel suo insieme, di conseguenza come un paese unito. Gli stessi rappresentanti istituzionali esteri e giornalisti, poche le eccezioni, non conoscevano le differenze interne, nazionali e altre. Il loro interesse era che la Jugoslavia continuasse ad esistere. La guerra fredda stava volgendo a termine ma non era del tutto scomparsa e non si sapeva che fine poteva fare l’Unione sovietica. Insomma, i corpi diplomatici hanno deciso di seguire degli schemi già consolidati nell’era della guerra fredda e vedevano nella delegazione slovena la speranza che fosse in grado di riformare la Jugoslavia e la lega dei Comunista come ha fatto pure Gorbachev con l’Unione Sovietica con la Perestrojka e la Glasnost. Insomma, si credeva che le riforme avrebbero comunque mantenuto in vita il paese. Questo pensiero è perdurato pure dopo la dichiarazione d’indipendenza da parte slovena, numerosi infatti minacciarono di non voler riconoscere la Slovenia. Per esempio, il Ministro degli esteri italiano Demichelis aveva annunciato pubblicamente proprio a Lubiana che il paese non verrà riconosciuto per almeno i prossimi 50 anni, ma lo disse lo stesso segretario Usa Backer. Il premier federale Markovič e i vertici dell’esercito godevano del silente appoggio internazionale e mani libere per un eventuale intervento. Se l’esercito si avesse fosse dimostrava efficiente sarebbe sicuramente stato appoggiato dalla Comunità internazionale. È stato soprattutto il sanguinoso conflitto in Croazia con il genocidio di Vukovar e il bombardamento di Rausa a fare cambiare idea alla Comunità Europea e internazionale grazie all’opinione pubblica mondiale.
Ma la delegazione che ha abbandonato il Congresso sapeva a cosa andava incontro
Božo Repe: Avevano sicuramento preso in considerazione entrambe le opzioni. Probabilmente stava prevalendo la seconda in quanto tutta la seconda metà degli anni Ottanta si è caratterizzata da duri contri sul piano politico. In quell’epoca la percezione era che i Presidenti delle Leghe dei Comunisti federali erano i responsabili di quanto accadeva nei loro paesi. I dirigenti locali venivano visti come dei baroni rossi. Per il resto della Jugoslavia appariva inconcepibile che Milan Kučan non deteneva il potere. Che in Slovenia stava prendendo piede una società civile e stavano nascendo delle formazioni politiche nuove era inconcepibile, anzi reputavano che la responsabilità diretta di quanto stava accadendo era di Milan Kučan e della Lega slovena. Mi riferisco a tutto,ai media e alle spinte secessionistiche. Questa grandissima incomprensione è poi riemersa durante l’ultimo congresso della Lega dei Comunisti. Guardando dall’ottica interna del partito comunista sloveno questa fase di transizione iniziata negli anni 80 è stata particolarmente lunga e dipendeva molto dalla scelta del Presidente a capo del partito unico. Per esempio, Andrej Marinc che è succeduto a France Popit ha in qualche maniera ammorbidito il partito ma non è stato in grado di attuare riforme drastiche a causa del suo passato risalente agli anni 70. Marinc ha però aperto la strada a Kučan a scapito di altri nomi legati alla politica tradizionale del partito. Una serie di eventi insomma hanno portato a questa rottura. Verso la fine dell’89 in un sondaggio è emerso che la gente voleva una forma di democrazia non partitica ovvero composta da formazioni politiche diverse che fanno comunque riferimento ad un partito socialista unico. In quel periodo però sono già affiorate le prime formazioni politiche in Slovenia. Gli eventi insomma mutavano molto velocemente e in questa situazione trovare un equilibrio tra un penserò marcatamente filo jugoslavo delle persone che hanno costruito il paese è i cosiddetti nuovi comunisti è stato pressoché impossibile. Questi ultimi comunisti pensavano soprattutto alla loro carriera e la Lega dei Comunisti rappresentava l’unico ambiente nel quale potevano soddisfare queste loro esigenze carrieristiche. Dal loro punto di vista esistenziale era fondamentale che la Lega dei Comunisti sloveni diventasse un partito nazionale in grado di trovare lo spazio politico in Slovenia.
Quali sono atti gli eventi storici internazionali che hanno favorito la disgregazione jugoslava
Božo Repe: Io penso che siano stati due principalmente. Il primo evento è stata la disgregazione pacifica dell’Unione Sovietica mentre il secondo è l’unificazione della Germania che ha in qualche modo rimarcato il diritto di autodeterminazione poi valso anche per gli sloveni come per i croati. Il terzo elemento è rappresentato invece dai fenomeni d’integrazione europea. Il riconoscimento della Slovenia e della Croazia non a caso è avvenuto durante il periodo segnato dal Trattato di Maastricht e dalla fase negoziale legata all’approvazione del trattato europeo. In questa sede la Germania ha sostenuto il riconoscimento della Slovenia e della Croazia entrando spesso in conflitto con la Francia, la Gran Bretagna e tanti altri paesi. È stata scelta una formula di compromesso, ovvero prima tocca alla Germania e poi a seguire saranno i restanti paesi a riconoscere le due repubbliche ex jugoslave. Questo aspetto riguardava anche il futuro dell’Europa, un Europa più socialista come voluto da Mitterrand o più liberale come voluto da Kohl. Insomma, la Jugoslavia è diventata un elemento di discussione casuale, irrilevante, non vi era alcuna conferenza a riguardo. È stato un argomento trattato durante le cene di lavoro e come di abitudine argomento di trattazione. Sembra inusuale, ma sono cose che fanno parte della storia, quella scritta nelle retrovie. Tutto ciò ha portato al riconoscimento della Slovenia e della Croazia e alla seguente interpretazione fornita dalla Commissione Badinter che parlava della disgregazione jugoslava. Le conseguenze erano poi anche internazionali, la Germania ha estorto questa decisone e la paura nei confronti della Germania ha prevalso. Non mi riferisco solamente al ruolo economico della Germania ma anche a quello politico, non è casuale il detto francese che dice: Voglio così bene alla Germania che preferisco vederne due. Tutte queste rivalità interne e la paura di un’ennesima grande Germania hanno portato la Commissione del francese e non tedesco Badinter a riconoscere la fine della Jugoslavia.
Non siamo stati cacciati dalla Jugoslavia, ma ce ne siamo andati perché i nostri piani erano diversi ha poi sottolineato Sonja Lokar, la cui immagine in lacrime mentre stava abbandonato il quattordicesimo congresso è diventata il simbolo di un’epoca.
Sonja Lokar: Durante il congresso c’erano molti giovani facenti parte della nostra delegazione che avevano una gran fretta di tornare a casa e lo facevano in un’ottica elettorale futura. Noi anziani invece avevamo il compiuto di ponderare le nostre decisioni e svolgere il nostro compito quello di convincere il consiglio, la Jugoslavia intera, l’opinione pubblica generale e slovena, che non possiamo più fare parte di un’organizzazione che non rappresenta più i nostri interessi e le nostre priorità. E l’unico modo per dimostrare quanto ho detto era quello di affrontare questo lungo e doloroso processo con il voto delle nostre proposte al Congresso. Per esempio, Bavcon ha presentato un emendamento nel quale si chiedeva perché bisogna abolire la tortura nelle carceri. I delegati hanno votato contro. Insomma, era chiaro a tutti che non avevamo più nulla in comune e tutto ciò è avvenuto all’interno dell’organizzazione che ha creato e condotto con successo la Jugoslavia. Nessuno si è illuso, nessuno credeva che il futuro sarà prospero, ci rendevamo conto che il paese era in crisi e necessitava di progetti di sviluppo. Non ci consideravamo un’auto dichiarato movimento d’avanguardia, perché questo non può essere dichiarato, ma viene riconosciuto dalle persone o meno. Eravamo consapevoli che le future elezioni in Slovenia non ci avrebbero portato la maggioranza, ci era chiaro che il nostro futuro era tra i banchi dell’opposizione. Ma tuttora penso che fosse necessario tutto quello che abbiamo fatto. Era necessario distanziarci da quanto abbiamo fatto in passato e proseguire la nostra strada in democrazia.
Cosa era il programma Europa Adesso
Sonja Lokar: Se andiamo ad analizzare il programma di Europa adesso vediamo che si tratta di un programma che delinea i punti di passaggio ad un programma di stampo socialdemocratico come quello svedese. Mi riferisco a tutta una serie di diritti e di ambizioni che ci siamo posti. Era un vademecum per il futuro della società slovena, se ci verrà data questa possibilità. Eravamo consapevoli che la priorità era il modello economico, questo andava cambiato soprattutto nell’aspetti che disciplinava la proprietà privata. Noi eravamo convinti di essere in grado di mantenere i postulati base del socialismo, mi riferisco alla parte che determina che siano i lavoratori a decidere come investitore e dove il profitto, mentre ora lo fa la proprietà. In questo momento la Slovenia non sta vivendo un periodo felice, non tanto per l’aspetto economico, dove tutto sommato non ci possiamo lamentare, il potenziale sloveno è enorme, ma non siamo in grado di stimolarlo, organizzarlo e viviamo una situazione nella quale i lavoratori sono poco retribuiti e mal tutelati. Dobbiamo puntare ad un’economia innovativa e con servizi e un’industria all’avanguardia. Non dimentichiamo che la Slovenia veniva considerata il fiore all’occhiello dei paesi socialisti ma oggi è una vergogna. A mancare è il cosiddetto terzo consenso. Siamo d’accordo di voler vivere nella democrazia, di riconoscere la democrazia parlamentare come l’unico modello disponibile, ma non sappiamo in quale modello di società vogliamo vivere. E questo tema viene completamente ignorato. Ci spostiamo da uno scandalo a un altro, ma le risposte che si aspettano i cittadini sono altre e riguardano la sicurezza di un posto di lavoro, il funzionamento della sanità e tanti altri problemi del vivere quotidiano. E in questo momento la politica non sa fornire delle risposte perché preferisce perdere tempo in stupidaggini e in tematiche irrilevanti. Per me tutto ciò, non è una delusione, ma una sfida, la sfida dei socialdemocratici. Come trovare delle risposte e trovare una soluzione alle problematiche menzionate.
Sentiamo infine Lev Kreft, membro della delegazione che ha deciso di lasciare Belgrado.
Lev Kreft: Oltre alla grande speranza che nutrivamo si sentiva nell’aria che la guerra stava incombendo. Era da diversi anni che le minacce relative a possibili colpi di stato si facevano sempre più forti. La prima impressione era che stavamo facendo qualcosa di importante per il futuro della Slovenia, ma allo stesso tempo qualcosa di terribile che stava accadendo in Serbia con la dirigenza che stava preparando un conflitto armato. Per quanto riguarda invece la sinistra devo dire, che era un periodo nel quale si poteva ancora cambiare il comunismo di stampo sovietico, e in qualche modo simile al nostro congresso, modificare con delle innovazioni come quella presentata con il Programma Europa adesso che tuttora risulta particolarmente visionario o utopico se preferiamo. Era l’ultima chance per un tipo di sinistra di dare un segnale di vita. Tutto il resto invece fa parte di negoziazioni politiche di coalizione che niente hanno a che vedere con lo sviluppo della sinistra che da quel momento ha subito un continuo regresso.
La lotta per lo spazio pubblico hanno caratterizzato gli anni 80 in quanto questo spazio veniva controllato dallo stato.
Lev Kreft: Questa lotta è iniziata con il fenomeno Punk a fine anni 70 e inizi anni 80. Non solo come fenomeno musicale ma come stile di vita che prevedeva appunto il disprezzoso del potere, dello stato e della polizia e con considerazioni che riguardavano gli aspetti negativi della vita, non solo politici, ma adolescenziali. Alla fine degli anni Ottanta tutto sfocerà in un grande movimento alternativo dal quale nasceranno anche molti apriti, trai quali i verdi. Questo movimento era unitario venivano appoggiate le lesbiche per esempio nelle loro rivendicazioni come loro appoggiavano le lotte dei verdi e così via. Questi fenomeni sono scomparsi oggi, le lotte che si fanno riguardano l’accesso ai bandi pubblici e ai soldi dello stato e i movimenti non sono più indipendenti.
Dionizij Botter