Se qualcuno si aspettava che la celebrazione si trasformasse in una risposta diretta o indiretta alla bufera che si era scatenata lo scorso 10 febbraio - dopo le dichiarazioni alla Foiba di Basovizza dell’ex presidente del Parlamento Europeo, Anotnio Tajani e dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini - oggi è rimasto deluso.
Una cerimonia, quella andata in scena, fuori dai soliti canoni. Il suo ideatore, il regista Peter Avbar, è andato addirittura a pescare lo slogan dal testo di una canzone dei Siddharta, un gruppo rock sloveno: “Per il bene della gente non si costruiscono confini”. Nel corso della manifestazione è stato detto che nessuno non ce l’aveva con gli italiani, ma con i fascisti e che la frontiera tracciata a Parigi non accontentava né la Jugoslavia né l’Italia.
Il capo del governo Marjan Šarec ha rimarcato che purtroppo molti sloveni sono restati fuori dai confini nazionali e questo oggi non si può cambiare, ma ha esaltato soprattutto la capacità che ebbero i suoi connazionali di resistere e rimanere uniti anche dopo il Trattato di Rapallo, che assegnò queste zone all’Italia, e dopo l’avvento del fascismo. Una Resistenza - ha precisato Šarec - che nel Litorale è iniziata prima che da altre parti, come prima qui sono iniziati gli scontri anche con l’esercito jugoslavo che avrebbero portato alla tanto agognata indipendenza della Slovenia. Il premier ha voluto esaltare l’unità che seppero trovare gli sloveni del Litorale, ed ha auspicato che anche oggi il paese sappia fare altrettanto.
Nel corso dello spettacolo più che delle sofferenze degli sloveni durante il fascismo si è parlato di confine e di quanto questo abbia pesato sulla vita della gente. Un taglio in una zona multilingue che ha separato amici, amori e famiglie e che spesso ha costretto le persone a difficili scelte. Una frontiera fatta di contrabbando, campi profughi, fughe, militari pronti a sparare, cadaveri recuperati lungo la linea verde. Una frontiera quella di ieri che ha inevitabilmente portato a parlare di quella di oggi e del dramma dei migranti. Alla fine, il tutto è sembrato voler essere, soprattutto, una vera e propria esaltazione del principio della libera circolazione delle persone che l’Unione Europea ha regalato a tutti o quasi. Uno spettacolo moderno, poco in linea con alcune cerimonie del passato dove si era spesso andati ripescare i modelli e la retorica usati al tempo del regime jugoslavo. Quest’anno, quindi meno stelle rosse e meno magliette con l‘effige di Tito, che comunque non sono mancate così come non è mancato un enorme bandierone della federazione jugoslava esposto sugli argini di un torrente nei pressi della zona dove si svolgeva la cerimonia.
Stefano Lusa