Il 2020 secondo l’ultimo rapporto appena pubblicato dall’Economist è stato per lo stato della democrazia sul pianeta l’anno peggiore dal 2006, quando il settimanale iniziò a raccogliere e rielaborare i dati riguardanti la salute politica di più di centocinquanta paesi del mondo. 167 sono esattamente gli stati, analizzati nell’ultimo resoconto, cui è attribuito un punteggio da 10 a 0 frutto della media dei voti ottenuti su cinque fattori: processo elettorale e pluralismo; libertà civili; funzionamento del governo; partecipazione politica; cultura politica.
Come sempre anche nell’anno appena concluso la prima della classe è stata la Norvegia con un punteggio pari a 9,81, seguita da Islanda, Svezia, Nuova Zelanda, Canada, Finlandia, Danimarca e Irlanda e da altri quindici paesi che l’Economist fa rientrare nelle cosiddette “democrazie piene”.
La Slovenia si trova invece al trentacinquesimo posto, preceduta di poco dall’Italia che ottiene il ventinovesimo piazzamento tra quelle che sono definite “le democrazie imperfette”, ossia i sistemi politici che al loro interno rivelano alcune anomalie. In tutto si tratta di cinquantacinque paesi, dopo i quali vengono 34 regimi ibridi e 57 regimi decisamente autoritari.
A influire sul peggioramento generale dei dati sono state secondo l’Economist le misure, pur necessarie, anti-Covid che hanno oggettivamente portato nel 2020 ad una riduzione delle libertà civili in tutti i paesi del mondo. Il 2021, avverte l’Economist, «non comincia bene», tra l’insurrezione di Capitol Hill e il golpe in Myanmar. Resta comunque la speranza che con l’acuirsi dell’epidemia l’alleggerirsi delle restrizioni sul Covid-19 possano fornire quest’anno migliori risultati sulla salute delle nostre democrazie.