La Superlega di calcio intendeva produrre in seno all'Uefa ciò che nel 2000 e avvenuto con le competizioni di basket, in Europa. Come allora era in corso una crisi economica, non certo paragonabile agli ammanchi di entrate prodotti dall'ultimo anno di sport a causa del covid-19, e alcune potenti squadre, pure allora fra queste società spagnole e italiane non vollero aderire al progetto di rinnovamento dell'allora Eurolega, gestita dalla FIBA, che aveva avocato a sé la gestione dei diritti televisivi relativi del primo torneo europeo. Così le ricche società che facevano capo all'Uleb, diedero atto alla scissione e alla nascita dell'Eurolega.
La Superlega di calcio verosimilmente nata nella sala riunioni della JP Morgan, uno dei principali istituti di credito a livello mondiale, che avrebbe fornito ai 15 club fondatori il capitale iniziale da 3,5 miliardi di euro confidava nel medesimo iter. Accentramento, più potere economico e nuova distribuzione di risorse derivanti dai diritti televisivi. Il sogno della nuova super competizione però è svanito come neve al sole in poco più di 48 ore. A decretarne la fine non sono stati tanto gli interventi della Fifa e dell'Uefa, i due massimi organi del calcio mondiale ed europeo, ma il complesso mondo del calcio. I promotori della Superlega hanno guardato ai guadagni senza coinvolgere squadre, allenatori, giocatori, e considerando i tifosi come una loro proprietà e il pubblico come un asset da mettere a bilancio.
Non bastasse, anche il mondo della politica, sempre refrattario a dichiarazioni ufficiali in materia di sport, ha dato la sua spallata. Su tutti il premier inglese Boris Johnson, che arguito il malcontento generale dell'operazione che vedeva coinvolti sei squadre inglesi Manchester United, Manchester City, Tottenham, Liverpool, Chelsea e Arsenal ha cavalcato la contro crociata traendone pure un vantaggio in fatto di reputazione agli occhi dei sudditi di sua maestà e della comunità internazionale. L'idea di far parte di un prodotto premium di intrattenimento per paesi come India, Stati Uniti ed Estremo Oriente, mercati dove poter attirare sponsor e inserzionisti di ogni tipo interessava pure ai dirigenti di cinesi di Milan e Inter. Tutti a prescindere non hanno fatto i conti con i supporter sempre e comunque allietati dai valori sportivi. Il tam-tam delle voci contrarie, ora dopo ora, ha fatto il resto, ha scoraggiato aziende e brand coinvolte nel progetto che, per non correre rischi si sono defilate. Un nome su tutti Amazon, una tra le papabili media partner della Superlega, che ha velocemente rinunciato all'acquisto dei diritti sportivi.
Corrado Cimador