Tra i promotori della dichiarazione la professoressa Neža Čebron Lipovec, che da anni si dedica agli studi di comunità a partire dall'urbanistica, che presentando questa iniziativa per prima cosa ha voluto sottolineare come l'ateneo capodistriano lavori da decenni su questi temi ed abbia pubblicato decine di ricerche innovative proprio sugli argomenti al centro della polemica (che, però, sembrano non essere state prese minimamente in considerazione da coloro che si sono espressi sulla questione delle targhe capodistriane). Un peccato, perchè i loro lavori accademici avrebbero fornito una chiave di lettura totalmente diversa ai burocrati di Lubiana, che hanno invece applicato la legge esistente senza tenere conto delle particolarità di questo territorio.
"Sicuramente in merito al tema del contendere", ci dice la professoressa Čebron Lipovec , "è fondamentale il lavoro fatto in questi ultimi anni dalla dialettologa Suzana Todorovič, che si occupa proprio dei dialetti dell'Istria settentrionale e quindi sia dell'istroveneto sia dei dialetti istrosloveni. Le sue ricerche, infatti, "confermano chiaramente che esistono vari dialetti e varie parlate, ma che nell'area urbana si rintraccia solo la presenza dell'istroveneto almeno sino all'ultimo secolo".
Una realtà che è stata confermata anche dagli studi che in questi anni sono stati fatti in altri ambiti, come quelli dell’antropologa Katja Hrovat Virloget che ha lavorato sulle diverse identità di questo territorio e sulla memoria individuale e collettiva, ma anche quelli della stessa Čebron Lipovec sull’architettura e sullo sviluppo urbano, dai quali emerge chiaramente la presenza di una forte identità italiana e istroveneta nelle località costiere, tanto “che il dialetto istroveneto poco tempo fa è entrato a far parte dei beni culturali immateriali della Slovenia". Un passo questo, secondo la Čebron Lipovec, di "una potenza simbolica molto forte", poichè significa che si è fieri di questo aspetto dell'identità culturale del paese sia a livello locale sia a livello nazionale. Come d'altronde in Slovenia si è stati molto contenti, quando "la Carinzia austriaca ha inserito nella lista dei beni del patrimonio culturale immateriale Unesco gli odonimi e i toponimi sloveni, senza alcuna traduzione in tedesco".
A questo punto, però, secondo la Čebron Lipovec, sorge spontanea una domanda retorica: "Come si può essere fieri di questo importante riconoscimento come quello austriaco senza concedere la stessa opportunità a una minoranza presente sul proprio territorio nazionale"? Per questo lei e il gruppo di ricercatori, che hanno voluto condividere le riflessioni odierne, considerano pericolosa una presa di posizione come quella dell'ispettorato per la Cultura e i Massmedia che può essere interpretata come un atto revisionista, volto a riscrivere la storia di un territorio multiculturale, negando di fatto l'identità locale di Capodistria e dei comuni costieri, profondamente caratterizzati dalla presenza secolare della Comunità Nazionale Italiana e dalla convivenza pacifica tra diverse comunità linguistiche e culturali.
Barbara Costamagna