Il dibattito al Parlamento sul Bilancio per il 2022 e dalle proiezioni per il biennio successivo è filato liscio, nessuno ha problematizzato i fondi per le minoranze. Nemmeno sulla scena pubblica non vi sono state accuse di "etnobusiness" che in passato venivano spesso mosse agli esponenti delle etnie.
Già, etnobusiness: era un termine questo molto diffuso fino a poco tempo fa sulla scena politica croata. Il riferimento era ai deputati delle minoranze nazionali, rei di allearsi al governo in carica, di dargli supporto parlamentare. In cambio, si sosteneva, di sostanziose iniezioni finanziarie per le rispettive etnie. Curiosamente era stata la sinistra a coniare il termine, anche se inizialmente c'era l'idea che le Comunità nazionali fossero degli alleati naturali di questa corrente politica, vista come tollerante nei confronti delle diversità. Fatto sta però che dalla sinistra erano partite anche delle iniziative per ridimensionare il ruolo dei deputati minoritari, per impedire la loro elezione diretta da parte degli appartenenti alle rispettive etnie e per cooptarli dalle liste partitiche. Queste iniziative erano state sventate e i deputati minoritari avevano iniziato a muoversi a tutto campo.
Poi il termine etnobusiness è stato abbracciato dalla destra che ne ha fatto una sorta di cavallo di battaglia. Ma anche le iniziative di destra, in particolare quelle referendarie, per tarpare le ali ai parlamentari minoritari sono fallite. Ora il concetto di etnobusiness è già da un po' di tempo che non fa la sua comparsa sulla scena pubblica. Di fatto si è accettato che i deputati delle minoranze sono parlamentari come tutti gli altri e che abbiano diritto a negoziare con i partiti e i governi.
Tornando ai fondi per le etnie nel Bilancio dello Stato, non va scordato il fatto che già i finanziamenti per quest'anno sono lievitati in maniera tutt'altro che irrilevante rispetto al 2021. Siamo in presenza di un andamento incoraggiante che non può che lasciare soddisfatti, di un segno evidente che il ruolo culturale, ma anche politico delle componenti minoritarie nella società croata viene compreso e apprezzato. L'impegno profuso dai deputati delle minoranze, fra cui il vicepresidente del Sabor e parlamentare della Comunità Nazionale Italiana, Furio Radin, in questi anni è stato premiato.
L'alleanza di governo, che ha portato pure un esponente di punta delle minoranze, più precisamente della Comunità serba, Boris Milošević, ad assumere l'incarico di vicepremier, si è rivelata una carta vincente. Tempo addietro non era stata sicuramente una scelta facile né indolore quella dei parlamentari delle minoranze nazionali di schierarsi, di offrire dapprima il sostegno esterno ai diversi Esecutivi e poi di arrivare all'accordo di programma. E infine di entrare a pieno titolo nella maggioranza fino a essere anche una componente essenziale della sua tenuta.
Un ruolo fondamentale lo ha giocato la capacità dei deputati minoritari di rimanere uniti, di fare per quanto possibile fronte comune. Gli appelli all'importanza della solidarietà tra le Comunità nazionali hanno colto nel segno. A parte l'importanza del sostegno alle attività culturali delle etnie, peraltro fondamentale, altrettanto rilievo lo assume la valenza politica dell'alleanza di governo di cui sono parte integrante le minoranze.
Tutte le votazioni finora al Sabor hanno evidenziato che questa maggioranza, per quanto risicata sulla carta, regge bene a tutte le sfide. Ovviamente il premier Andrej Plenković potrebbe, molto probabilmente, allargare la sua maggioranza andando a pescare nell'ampio serbatoio di voti, ossia di deputati, in libera uscita del variegato mondo della destra - e ora anche della sinistra dopo la spaccatura in seno al gruppo parlamentare socialdemocratico - più spezzettato che mai. Finora però non l'ha fatto formalmente, non ne ha avuto il bisogno.
Ogni allargamento della maggioranza, peraltro, potrebbe rendere necessari nuovi compromessi che magari potrebbero compromettere l'attuale linea moderata. Ed è di questa che Plenković ha bisogno, unita alla stabilità, soprattutto per essere un interlocutore quanto più credibile a livello internazionale, per conseguire gli obiettivi strategici del Paese. Per muoversi con agilità, per avere credibilità, deve avere le spalle coperte sul piano interno. E le minoranze offrono proprio questo, un ancoraggio al centro - inteso come un fulcro di valori con in primo piano la moderazione, l'assenza di toni accesi, l'apertura alle diversità, la cura dei buoni rapporti con i Paesi vicini - senza derive rischiose di stampo populista. Ormai sulla scena politica nazionale nessuno o quasi problematizza la scelta dei deputati delle minoranze di schierarsi, di essere parte attiva delle varie maggioranze di governo che si sono formate finora e che potranno costituirsi in futuro.
Dario Saftich/La Voce del Popolo