Sala del consiglio comunale - Trieste Foto: Radio Capodistria
Sala del consiglio comunale - Trieste Foto: Radio Capodistria

Un passivo di 600.000 euro di cui 300.000 potrebbero essere ripianati se il Ministero degli esteri riconoscesse all’Università popolare la differenza accumulata tra residui attivi e passivi. In parole povere ci sarebbero soldi spesi e non riscossi in alcuune voci e fondi non utilizzati in altri campi. Una situazione, meno pesante rispetto a quella emersa nelle settimane scorse. Un disavanzo - ha spiegato Colavitti - che parte dal 2005 e che i revisori non hanno mai chiesto di ripianare. Proprio su di essi non sono mancati di piovere strali.

Dito puntato anche sulle Comunità degli italiani. Sarebbero 17, infatti, quelle che non avrebbero ancora rendicontato le spese, impedendo all’Università popolare di presentare il bilancio per il 2017. Un documento che dovrebbe chiudere addirittura con 12.000 euro di attivo. Fondi questi che dovrebbero servire, almeno in parte, a far diminuire il passivo. A pesare sul deficit iniziative non preventivate per la Comunità Nazionale Italiana, ma anche il superamento dei costi per alcuni interventi. Non è mancato nemmeno un accenno a quella che sarebbe la scarsa chiarezza nelle rendicontazioni, su cui l’Università popolare non ha potere di controllo; mentre è stato tirato in ballo anche il concerto di Renzo Arbore all’Arena di Pola, dove ci sarebbero addirittura tre contratti in tre lingue diverse e dove ancor oggi non si saprebbe quanto è costato. Proprio a causa di quella intricata vicenda venne mozzata la testa di Sandro Rossit, lo storico direttore generale licenziato dall’Ente.

Accenni anche ai legami politici tra Debora Serrachiani, Ettore Rosato e Fabrizio Somma. L’ex presidente ed oggi direttore generale dell’Ente, secondo il forzista Bruno Marini, sarebbe stato lo strumento attraverso cui il Partito Democratico avrebbe cercato di mettere le mani sull’Università popolare. Maggioranza e opposizione, comunque, sono sembrate concordi sulla necessità di salvaguardare i dipendenti e di ridare prestigio all’ente; mentre da più parti è stato detto che, vista l’entità del deficit, il commissariamento potrebbe essere anche evitato.