Dopo la schedatura delle minoranze nazionali autoctone con il registro del diritto di voto per i seggi specifici - sfilato dalle mani delle comunità nazionali ed ora custodito dal ministero degli Interno - un altro elenco etnico, molto più dettagliato potrebbe finire negli archivi sloveni. Già a febbraio la camera verrà chiamata a discutere delle modifiche alla legge sulla residenza. La scorsa settimana il Comitato interni ha approvato un emendamento, proposto dal Partito nazionale, in cui tra i dati raccolti ad ogni cambio di residenza ci dovrebbero essere anche quelli sulla appartenenza etnica, lingua madre e religione. Nella vecchia normativa, cambiata nel 2016, veniva chiesta la nazionalità, ma poi questo dato è stato cancellato. Ora l’intento sarebbe quello di sapere molto di più. Tutte domande queste che erano presenti nei vecchi censimenti jugoslavi e sloveni e che dal 2011 sono state cassate. Il premier Janez Janša, in un piccato tweet, in risposta all’Ufficio statistico nazionale, li aveva invitati a rilevare nazionalità e religione, piuttosto che occuparsi di banalità. Sta di fatto che per il Partito Nazionale, tutto ciò non è altro che uno strumento per tutelare le minoranze. Per nulla d’accordo la Garante della privacy Mojca Prelesnik, secondo cui la raccolta di questi dati mette a rischio i gruppi più deboli - come gli stranieri e le minoranze - e conduce verso uno stato di polizia. Dito puntato anche sulla procedura abbreviata con cui verrà discussa le norma in questione, inserita in un pacchetto più ampio di modifiche legislative. In sintesi, una grave intromissione nella sfera privata, che viola tutta una serie di articoli della costituzione.
Stefano Lusa