L’80. esimo anniversario della capitolazione dell’Italia è stato l’occasione per ricordare in grande stile nell’area quarnerina anche un’altra ricorrenza legata a quel periodo, ovvero l’80º della liberazione del campo di concentramento fascista di Campore sull’isola di Arbe. Non sono mancate a Fiume però le polemiche sulla terminologia da usare in questi casi. Ovvero è lecito parlare di campi di concentramento italiani o è meglio precisare che si tratta di campi di concentramento fascisti? Questo a scanso di equivoci, per evitare, chiaramente, che ricada sempre una colpa collettiva su tutti gli italiani. Ossia che l’opinione pubblica, che risente ancora, a quanto pare, degli stereotipi e dei pregiudizi del passato, possa guardare con sospetto alla minoranza italiana. Un timore questo diffuso da queste parti anche tra la dirigenza e gli esponenti di spicco della Comunità degli Italiani di Palazzo Modello. La molla scatenante delle polemiche è stata la mostra allestita in Corso dal Museo civico in cui si parla di “Campi di concentramento italiani” nell’area del Quarnero. Il motivo dall’ottica formale è chiaro: quei campi erano sotto l’ingerenza del Regio esercito italiano. Non per niente nel suo discorso a Campore, alla celebrazione ufficiale dell’80º della liberazione del campo di concentramento, il Presidente croato Zoran Milanović si è chiesto come facessero gli ufficiali del Regio esercito ad assistere alla tragedia di tanta gente che moriva letteralmente di fame, per le dure condizioni di vita. In questo caso a Campore nei comunicati ufficiali si è parlato però di “campo di concentramento fascista italiano”. Una precisazione in più. Una cosa è certa. Invece di guardare a tutte le sfaccettature di quel passato spaventoso, ma anche terribilmente complesso, rendendo il doveroso omaggio a tutte le vittime, si è ancora costretti a vivere nel timore che i pregiudizi e gli spettri del passato tornino d’attualità.
Dario Saftich