Le elezioni dello scorso maggio per il rinnovo dei Consigli delle 22 minoranze riconosciute in Croazia sono state, se ci limitiamo all’affluenza, un generale fallimento. In termini complessivi, si è recato alle urne solo il 10% degli aventi diritto e gli sloveni, con il 4%, sono risultati i campioni di astensionismo. Eleggendo soltanto 18 organismi rappresentativi sui 35 garantiti, la Comunità slovena non è riuscita neppure a sfruttare tutte le opportunità concesse dalla Legge costituzionale sulle minoranze. Dati scoraggianti che hanno indotto l’Istituto lubianese a realizzare una ricerca post-elettorale; ricerca che va a completare una prima indagine effettuata tra gli eletti del precedente mandato e incentrata su struttura degli organismi e opinioni sul loro ruolo e attività. I due sondaggi, in sintesi, confermano il disinteresse degli sloveni all’attività politica nelle istituzioni a loro preposte; sono invece concentrati su quella culturale nelle numerose associazioni che si occupano di promozione dell’identità, della lingua e delle tradizioni. Le ragioni sono molteplici e vanno dagli imprecisi dettami legislativi che non chiariscono il ruolo e le competenze degli organismi minoritari, agli inadeguati finanziamenti e arrivano alla struttura demografica della componente slovena: una comunità sempre più anziana e sempre più ridotta. A queste si affiancano le riflessioni emerse nell’interessante dibattito, seguito alla presentazione della ricercatrice Barbara Riman. Da segnalare quella di Barbara Antolič Vupora, parlamentare dei socialdemocratici al Sabor e appartenente alla comunità slovena, che ha ricordato la decisione ufficiale sul disimpegno politico presa, una ventina di anni fa, dall’Alleanza delle associazioni culturali slovene in Croazia. “In quel periodo di relazioni tese tra Lubiana e Zagabria è stata una scelta ponderata che ha permesso comunque lo sviluppo e la proliferazione di molte associazioni”, ha raccontato Antolič Vupora. E se in tanti hanno auspicato la necessità di avviare iniziative volte a riaccendere la partecipazione politica attiva e passiva della minoranza, tanti altri hanno invece affermato che il disinteresse politico non può essere interpretato in maniera isolata rispetto alla miriade di altre attività rivolte alla salvaguardia linguistica e culturale.
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