Basta con gli stranieri musulmani che fanno il bagno con i vestiti. A lanciare la battaglia contro l’uso del cosiddetto “burqini”, il vestito utilizzato dalle donne di fede islamica per fare il bagno all’aperto, e in generale contro la consuetudine di andare in acqua con parte dei vestiti ancora addosso, è la sindaca di Monfalcone Anna Maria Cisint, che ha aperto un nuovo fronte polemico con la nutrita comunità islamica che vive nella Città dei cantieri.
Cisint non è nuova a queste iniziative: ha sempre sottolineato i problemi di convivenza con la nutrita comunità islamica della città, con iniziative come la rimozione delle panchine da una piazza centrale per evitare lo stazionamento d’immigrati, o la decisione di vietare la vendita e la detenzione in frigo delle bibite alcoliche nei negozi, o impedire l’ingresso nel palazzo comune e in altri luoghi pubblici di persone velate o con il volto coperto.
La sindaca, riferendosi in particolare alla frequentazione della spiaggia di Marina Julia, nei pressi della città, definisce “inaccettabile il comportamento degli stranieri musulmani” che fanno “abitualmente” il bagno al mare con i loro vestiti: una pratica che, secondo la prima cittadina, starebbe creando “sconcerto e insopportabili conseguenze alla salvaguardia del decoro”. “Chi viene da realtà diverse dalla nostra ha l’obbligo di rispettare le regole e i costumi – aggiunge – e la pratica di accedere sull’arenile e in acqua, con abbigliamenti diversi dai costumi da bagno, deve cessare”: “non possono essere accettate forme di ‘islamizzazione’ del nostro territorio, che estendono pratiche di dubbia valenza dal punto di vista del decoro e dell’igiene” e che “incidono negativamente nell’attrattività e nelle ricadute per i gestori dei servizi”.
Cisint annuncia anche “un apposito provvedimento a tutela dell’interesse generale della città e dei nostri concittadini”, e sottolinea anche “la sempre maggior presenza in città di donne con il burqa, con l’integrale copertura del viso, che impedisce ogni identificazione ed è evocativo di una visione integralista, che fa parte anche questa della volontà di non rispettare regole e norme dei paesi di arrivo, in particolare della componente proveniente dal Bangladesh, che registra la presenza più numerosa tra gli stranieri residenti in città”.
Le reazioni sono state immediate: “Dichiarazioni come quelle fatte dalla sindaca di Monfalcone, Anna Maria Cisint, possono alimentare tensioni tra la comunità musulmana e il resto dei cittadini”, ha detto la consigliera regionale del Movimento5 Stelle Rosaria Capozzi, ricordando che, con la circolare del 24 luglio 2000, il Ministero dell'Interno italiano “ ha precisato che il turbante, il chador e il velo, imposti da motivi religiosi, "sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono, nel loro insieme, ad identificare chi li indossa, naturalmente purché mantenga il volto scoperto".
"Le dichiarazioni della sindaca di Monfalcone sarebbero semplicemente ridicole e assurde - hanno commentato il capogruppo del Patto per l'Autonomia-Civica Fvg Massimo Moretuzzo e i consiglieri regionali Enrico Bullian e Giulia Massolino - se non fosse per il fatto che arrivano da una rappresentante delle istituzioni e da una delle figure di spicco del principale partito di Maggioranza in Consiglio regionale". "Un tempo – hanno aggiunto - c'erano le battaglie dei benpensanti contro il topless, ora ci troviamo davanti alla lotta di una sindaca contro chi in spiaggia ci va troppo vestito: siamo davvero al paradosso.
Moretuzzo, Bullian e Massolino offrono ironicamente il proprio appoggio per “stanziare le adeguate risorse finanziarie per l'acquisto di costumi per i poveri, rigorosamente residenti in regione da almeno 5 anni, e per istituire una commissione speciale che valuti l'adeguatezza dell'abbigliamento dei bagnanti. Sempre ai fini del rispetto del decoro".
"Se Cisint ci tiene all'igiene delle acque di Marina Julia - ha aggiunto la consigliera regionale di Alleanza Verdi e Sinistra, Serena Pellegrino- si preoccupi degli sversamenti di carburante in mare, come successo ad agosto 2022 con relativo divieto di balneazione".
La lotta contro l’uso di frequentare le spiagge, e ancor di più le piscine, con i vestiti o anche il burqini, un indumento fatto dello stesso materiale dei costumi ma che copre tutto il corpo, non è fra l’altro un’esclusiva di Monfalcone: già nel 2016 15 comuni del sud della Francia, fra cui Cannes e Nizza, avevano proibito l'uso di questo indumento, e un tribunale francese ne aveva vietato l’uso nelle piscine per motivi di sicurezza e igiene, sentenza poi confermata nel 2022. In generale da anni in Europa ci s‘interroga se vietare l’uso di questi indumenti nelle spiagge e nelle piscine sia una misura di tutela della salute, o dei diritti delle donne, oppure una manifestazione di discriminazione nei confronti dei cittadini di fede islamica.
L’argomento fra l’altro scatena contrasti anche nei contesti più disparati: recentemente l’europarlamentare della Lega Isabella Tovaglieri, ha preso posizione contro l’organizzazione di una festa privata a Limbiate, nella provincia di Monza e Brianza, perché l’incontro era stato dichiarato dagli organizzatori “hijab-friendly”, quindi senza foto o telecamere di sorveglianza accese, per consentire anche alle donne islamiche di partecipare e di mettersi in libertà. Per Tovaglieri si sarebbe trattato di una “pericolosa islamizzazione” dell’Europa, e addirittura di un tentativo di indottrinamento, delle bambine partecipanti, alla “segregazione e alla sottomissione”.
Alessandro Martegani