Dopo tre secoli dall’istituzione del Porto franco di Trieste, avvenuta il 18 marzo 1719 per volontà dell’imperatore Carlo IV, lo scalo giuliano è in piena fase di espansione.
Da anni i dati sui traffici hanno imboccato la strada dello sviluppo e della crescita, gli investimenti sulle infrastrutture ferroviarie consentono collegamenti efficienti con il resto d’Europa, e Trieste potrebbe essere il punto d’arrivo della nuova via della seta.
Sull’arrivo dei cinesi nello scalo, un aspetto al centro anche del progettato accordo fra Italia e Cina, non mancano però le resistenze: quella che per il tessuto produttivo della città, per le amministrazioni e la maggior parte delle forze politiche locali, e per il presidente dell’Autorità portuale Zeno D’Agostino, è una grande opportunità, per il governo degli Stati uniti potrebbe invece rappresentare un favore al primo avversario commerciale, e non mancano resistenze anche a livello europeo per motivi fiscali.
Gli aspetti internazionali non sembrano però preoccupare il presidente D’Agostino, che sottolinea come il successo dello scalo sia frutto di uno sviluppo costante, che guarda in più direzioni, e che non dipende dalle dinamiche in atto a Bruxelles e a Washington.
“Il dialogo con i cinesi – dice D’Agostino - procede attraverso un tavolo che è coordinato dall'Europa, e ragioniamo con i cinesi su progetti che l'Europa ha proposto alla Cina: tra questi c'è anche un progetto che riguarda gli investimenti ferroviari che fanno riferimento al sistema complessivo del Porto di Trieste. Non ho nessun problema a dire che, da questo punto di vista, se ci saranno accordi, almeno per quanto riguarda Trieste, entreranno all'interno di una dinamica che non solo è conosciuta da Bruxelles, ma è proprio gestita e portata avanti dall’Unione europea”.
“Per quanto riguarda l’accordo fra Italia e Cina non so che cosa ci sia scritto, ma ho paura che non lo sappia nessuno, e che tutti stiano in questo momento agitando uno spettro senza sapere che cosa poi Italia e Cina andranno effettivamente a firmare”.
Quindi da parte sua non c’è il timore che il Governo italiano decida di schierarsi con gli Stati uniti rinunciando all’accordo?
“Non siamo noi ad avere bisogno dei cinesi: è un problema della Cina se non riesce a chiudere su Trieste, mica di Trieste. Trieste investitori ne ha quanti ne vuole. Qui ci sono i cinesi, che sono ben accetti, perché sono potenti non solo dal punto di vista finanziario ma anche della gestione dei traffici globali, ma da noi investono Danesi, Svizzeri, Indonesiani, Tedeschi, Ungheresi, Austriaci, Belgi. Se questa è un’opportunità, è un’opportunità persa per i cinesi e non per Trieste”.
C'è la possibilità un giorno di vedere un unico sistema portuale dell'Alto Adriatico?
“Non sono un grande fautore di questa ipotesi: i confini nazionali pesano molto nelle dinamiche d’integrazione tra porti. Hanno aspetti fiscali diversi, sistemi e normative doganali diverse, organizzazioni totalmente diverse, ed difficile fare ragionamenti d'integrazione, anche solo nel modello di gestione del Porto. Noi ad esempio siamo una port Authority che non entra direttamente nelle attività di gestione dei terminal, Luka Koper invece lo fa, quindi non è semplice”.
“Secondo me è quasi impossibile pensare a dinamiche d’integrazione operativa dei due porti, anche se per esempio una delle cose su cui mi sembrerebbe utile ragionare è la gestione della forza lavoro: noi abbiamo una nave che arriva a Trieste dopo essere stata a Capodistria, e ci dobbiamo preoccupare dei picchi di lavoro sul porto di Trieste, la stessa cosa deve fare Capodistria, e potremmo pensare di ottimizzare le risorse sulla gestione di queste grandi navi, che cresceranno sempre di più, di creare delle sinergie. Il problema è chiaramente che chi lavora in Slovenia e chi lavora in Italia ha delle leggi di riferimento e una fiscalità totalmente diverse, quindi non è semplice, fare dei ragionamenti di questo tipo, ma alcuni punti su cui poter ragionare ci sono”.
Alessandro Martegani
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