Il prossimo 17 aprile a Trieste si terrà un seminario di studio ed approfondimento, promosso dall'associazione culturale italo-somala "Sagal", intitolato: "Somalia: dalla ricerca del passato alla prospettiva di futuro" che sarà inoltre corredato da una mostra fotografica. Sarà dato spazio alla cooperazione tra Italia e Somalia ed un'occasione per conoscere la realtà odierna del Paese africano che sta rinascendo grazie ad una nuova e più moderna mentalità della popolazione locale, con particolare attenzione alla convivenza ed al rispetto. Nella mostra sarà anche evidenziata la riqualificazione degli edifici storici che l'Italia costruì lo scorso secolo e che sono stati danneggiati dalle successive guerre civili.
Queste le parole del Presidente della Comunità somala di Trieste, Ahmed Faghi Elmi:
"Per noi questo convegno è un valore aggiunto. Noi, in questa iniziativa che abbiamo voluto, vediamo come Somali, la volontà di essere ponte tra la Somali e le istituzioni locali regionali. Punteremo a mostrare l'architettura italiana creata in Somalia il secolo scorso e vogliamo promuovere un contributo italiano alla ricostruzione in prospettiva futura".
Avete organizzato anche una mostra fotografica che era stata presentata qualche anno fa a Mogadiscio.
"Sì, abbiamo voluto questa mostra perché grazie ad un finanziamento della Regione abbiamo potuto riproporre la riedizione di questa mostra e vogliamo continuare una battaglia iniziata in Somali, che vogliamo portare anche qui, per far conoscere anche ai giovani cosa ha fatto l'Italia in Somali negli anni passati".
Un rapporto quello tra Italia e Somalia che in qualche modo volete ricordare e celebrare.
"Esatto. Vogliamo proprio che non venga tralasciato questo rapporto, perché in qualche modo ci sentiamo ancora molto legati all'Italia, tanto da sentirci proprio come "italo-somali". Io sono qui da tanti anni e mi sento di appartenere a tutte e due le bandiere, somala ed italiana. Da bambino, in Somalia, sono cresciuto tra le vie che riportavano ancora la denominazione italiana, si parlava la lingua italiana e persino certi documenti ufficiali erano scritti in lingua italiana; quindi, quando sono venuto proprio in Italia non ho avuto bisogno nemmeno di fare la traduzione perché essendo scritti in italiano erano già "legali" ed ufficiali".
Davide Fifaco