"Trieste come capitale morale dell'esodo che coinvolse il 90% della comunità italiana dell'Adriatico orientale è la sede ideale per accogliere un monumento dedicato a chi, con l'impresa fiumana, con il lancio su Trieste dall'aereo di volantini propagandistici (non bombe) e con la stesura della "Lettera ai dalmati" tanto rappresentò per l'italianità di queste terre". Con questa affermazione Renzo Codarin, presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, interviene all'interno del dibattito in corso a Trieste sull'opportunità o meno di porre in piazza della Borsa una statua dedicata a D'Annunzio in occasione del centenario dell'impresa fiumana.
"Gabriele d'Annunzio, personaggio complesso e dalle mille sfaccettature, continua a subire critiche basate su di una storiografia obsoleta e condizionata da luoghi comuni che ormai sono stati superati anche dalla divulgazione storica più recente", commenta in un lungo post Codarin che entrando nel merito della posa del monumento dedicato al "Vate" afferma che " a prescindere dal valore dell'uomo di cultura, che, prima di rischiare la vita come poeta-guerriero durante la Prima guerra mondiale, aveva raggiunto la fama con le sue opere letterarie e teatrali note ed apprezzate in tutto il mondo, d'Annunzio rappresenta un passaggio fondamentale nella storia della città di Fiume. L'italianità fiumana fu salvaguardata al termine della Grande guerra dall'intraprendenza del "Vate della nazione", ma venne distrutta ed annichilita dall'occupazione dell'esercito partigiano comunista jugoslavo di Tito al termine della Seconda guerra mondiale, inducendo la maggioranza dei fiumani a scegliere la via dell'esilio"."L'italianità fiumana", secondo lui, "fu" infatti "salvaguardata al termine della Grande guerra dall'intraprendenza del "Vate della nazione", per poi essere "annichilita", queste le sue parole "dall'occupazione dell'esercito partigiano comunista jugoslavo di Tito al termine della Seconda guerra mondiale".