È stato affidato a Luciano Violante, Presidente della Camera dei deputati dal 1996 al 2001, storico esponente del Pd, ex magistrato e professore universitario, il discorso di apertura di “Trieste Mistica”. L’incontro, organizzato dall’Università di Trieste martedì sera al Museo Revoltella di Trieste, nell’ambito delle celebrazioni per i 100 anni dell’ateneo, metterà a confronto i rappresentanti delle Comunità religiose presenti in città.
L’intervento di Violante, dedicato alla “Laicità e pluralismo religioso in democrazia”, sarà l’occasione per ragionare anche sul tema della reale applicazione delle libertà religiose nelle democrazie occidentali.
“Bisogna distinguere - dice l’ex Presidente della Camera- fra ciò che scrivono le costituzioni e ciò che avviene nelle società. Ad eccezione della Francia, che ha sposato totalmente il principio della laicità dalla fine del settecento, tutte quante le altre costituzioni hanno previsto, in forma e misura diversa, un riconoscimento della libertà religiosa, solo che la libertà religiosa non è un’idea, ma è un complesso di diritti che attengono alle persone e che comportano non solo la libertà di coscienza, ma anche la possibilità di praticare il proprio culto, di avere luoghi dove praticarlo, e di avere i ministri che lo praticano, dove i ministri sono previsti. Quando andiamo su questo terreno, vediamo che, mentre a livello formale, normativo, regolatorio, i diritti sono pienamente riconosciuti, nella società italiana e anche in molte altre società occidentali queste tutele faticano ad andare avanti”.
“In qualche comune in Italia per esempio il sindaco ha vietato la costruzione di moschee, o addirittura la preghiera pubblica: c'è un’islamofobia presente, non solo in Italia, basta pensare alla Germania, paese in cui un gruppo di estrema destra si è riunito per stabilire che, se andasse al governo, caccerebbe tutti quanti gli immigrati, tutti quelli che simpatizzano con gli immigrati, anche se hanno la cittadinanza, credo anche togliendo la cittadinanza tedesca a chi ne ha due, per poi scaricarli in Africa del nord, se ho capito bene. A questo si aggiungono anche delle discriminazioni pesanti che stanno crescendo nei confronti dell’ebraismo: il problema della libertà religiosa, il problema sostanziale, è avere la possibilità di esercitare dei diritti, e se si aggredisce un ragazzo perché porta la kippah, evidentemente questi diritti non sono garantiti”.
L’Italia è sempre stata definita un paese aconfessionale, ma di fatto ha un rapporto privilegiato con la Chiesa cattolica. Questo secondo lei è un unicum in Europa?
“L’articolo 7 della Costituzione certamente è un unicum. Da duemila anni, non da oggi, il ruolo che la Chiesa Cattolica ha avuto nella vita sociale, politica, artistica italiana è stato straordinario, non sono nel bene, anche nel male, ci sono stati anche dei danni. Io apprezzo molto il pensiero di Gramsci, che spiega come la Chiesa Cattolica sia stata un po’ un cuneo, che ha reso difficile la costruzione di una comunità italiana, però questa è acqua passata. Sta di fatto che, in Italia, il rapporto con la Chiesa Cattolica è assolutamente particolare”.
In questo periodo di discute molto del linguaggio urlato dei social, che porta anche all'estremizzazione del pensiero politico. A suo parere questa tendenza, ad avere ragione ad ogni costo senza lasciare spazio al confronto, compromette anche il dialogo interreligioso?
“Non è solo questo: io sui social mi distinguo se ho un linguaggio aggressivo, se ho un linguaggio d’odio, ed è chiaro che questo non favorisce la coesione. La società, le democrazie occidentali, attraversano gravi problemi di polarizzazione, di frantumazione sociale, di costruzione di enclave aggressive: questo capita da noi, capita negli Stati Uniti, capita in Francia, in tanti paesi, non solo da noi, e certamente non favorisce il dialogo. C'è poi un dato di fondo: noi siamo circondati dalla morte. Gaza, Israele, Ucraina: ci sono 59 conflitti armati del mondo. È in gioco la vita, e poiché la funzione della religione è spiegare il senso della vita e della morte, e, quando ci riescono, il senso di Dio, credo che la libertà religiosa comporti un impegno anche su questo terreno, non solo sul terreno della pace, che appartiene agli Stati, ma sul terreno della vita, che appartiene ai cittadini. Se è insufficiente chiedere la pace, quale altro passo possono fare questi grandi movimenti religiosi per far prendere coscienza che qui stiamo giocando con la vita?”
“Pensi a quante persone affogano nel Mediterraneo: anche nel Mediterraneo c'è il problema della vita. La questione dell'immigrazione va gestita anche considerando questi aspetti: quando le cose arrivano a questo punto, bisogna tornare ai fondamentali, e i fondamentali sono la vita e la morte. Le religioni hanno il privilegio di spiegarci il senso della vita e il senso della morte, e ho l'impressione che debbano, non voglio dire riprendere a farlo, ma perlomeno darci un aiuto. Oggi bisogna porre al centro della nostra attenzione questi grandi temi, che sono essenziali. A volte non ci accorgiamo di quello che ci accade attorno, ma sono migliaia e migliaia di morti: io non vedo ad esempio perché dobbiamo rattristarci solo per i giovani ucraini e non per i giovani russi che sono mandati a morire da Putin”.
Questi temi fanno pensare alle parole di Papa Francesco, spesso definito l'unico leader mondiale in questo momento: questo è un segno di debolezza della politica secondo lei? Il fatto che l'unico leader riconosciuto sia un leader religioso, è segno dell'incapacità della politica di aggregare e d’indicare una direzione?
“Questo è un punto certamente delicato. Io ho un'opinione un po' diversa quando si parla dell’incapacità della politica, avendola praticata per lungo tempo. Governare è difficile, fare politica è difficile: questa generazione, non per colpa propria, non ha avuto maestri, perché i maestri sono finiti nel periodo fra il 92/94, e quindi sta costruendosi da sé una propria personalità, una propria strategia, e vanno rispettati per questo, di qualunque ordinamento d’idee facciano parte. Detto questo, sta di fatto che mentre la politica, in assenza di grandi strategie, deve stare sul contingente, la grande autorità spirituale può anche non fermarsi al contingente. Il Papa non deve decidere se mandare armi all'Ucraina, o votare sanzioni alla Russia, o come mettere fine ai conflitti nel Sud Sudan, la politica sì. Il Papa fa benissimo a richiamare questi valori, ed è anche riuscito a far tornare a Kiev bambini rapiti dai russi. Sta di fatto che gli altri devono mettere in campo scelte complicate. Pensiamo solo al conflitto fra diritto di migrare e possibilità reali di accoglienza: se io non ho responsabilità di gestione posso dire ‘accogliamoli’, ma se io non so dove metterli è diverso”.
Un po' il gioco che si fa spesso in politica con la maggioranza che accusa l’opposizione di fare delle critiche senza avere reali responsabilità di gestione: è facile dire le cose all’opposizione ma quando si ha la responsabilità di governo è un po' più complesso…
“Mi lasci dire che alcune gestioni però sono al limite dei diritti umani: proprio a Trieste mi pare c’è il caso del Silos, un problema che presenta oggettive difficoltà; ma i diritti umani sono diritti umani. Pensiamo a quel ragazzo che si è ucciso qui a Roma, a Ponte Galeria, perché non riusciva ad avere il permesso di soggiorno, non riusciva a tornare nel suo paese, perché il suo paese non ha rapporti diplomatici di questo tipo con l'Italia; era venuto in Europa per dar da mangiare a due fratellini e rischiava di lasciarli morire di fame, e si è ucciso: queste sono cose che sono non possono essere relegate alla cronaca”.
Quando è diventato Presidente della Camera, nel suo un intervento aveva parlato anche di pacificazione: questo è un tema molto sentito a Trieste, in Slovenia e nei rapporti fra i due Stati. L'ex Presidente della Slovenia, Milan Kučan, lo scorso settembre si era detto dispiaciuto per le mancate scuse da parte italiana per i crimini commessi dal fascismo; dall'altra parte c'è ancora chi accusa i paesi della ex Jugoslavia di essere responsabili dell'eccidio delle Foibe. Giorgia Meloni è stata la prima Premier italiana a venire alla cerimonia del Giorno del Ricordo alla Foiba di Basovizza. Secondo lei a che punto siamo? È ancora lontana la pacificazione, la volontà di guardare avanti?
“Io credo che dei piccoli passi si stiano facendo: tenga presente l’ignoranza totale e l'oscurità che circondavano questa vicenda fino a 15-20 anni fa. Quando tenni con Gianfranco Fini, a Trieste al teatro Verdi, una conversazione su questi temi, non ebbi vita facile all'interno del mio partito. Poi ci spiegammo e le cose si sistemarono naturalmente, perché quel capitolo doveva essere affrontato. Per anni Togliatti non ha potuto mettere il piede a Trieste, ed era lui che aveva dato l'ordine di associarsi al V Corpus jugoslavo. Affrontare la questione delle Foibe credo che sia stato un fatto necessario, sono lieto di averlo fatto e aver continuato a farlo, perché favorimmo, anche e soprattutto per merito di Piero Fassino, l’approvazione della legge sul Giorno del Ricordo. Guardi, ogni nazione ha i suoi capitoli bui, il problema è non nasconderli, farli venire fuori, spiegare, far capire, dare spazio a chi la pensa diversamente. Questo è assolutamente necessario, perché così una nazione va avanti, altrimenti, se ciascuno si lega ai propri pregiudizi, ai propri odi e alle proprie intolleranze, come facciamo a costruire una comunità unitaria?”
Anche la presenza della Premier alla Foiba, rivela una forte attenzione da parte dell'attuale maggioranza in Italia sugli aspetti culturali e storici. Si parla molto di questa volontà della destra e del centrodestra di costruirsi un'identità culturale, di strapparla alla sinistra che aveva storicamente il monopolio della cultura. Secondo lei è giusta questa visione, c'è un monopolio della sinistra e un tentativo della destra di scardinarlo?
“È giusto che la destra abbia una struttura culturale: Io spero che Giorgia Meloni possa costruire un partito conservatore italiano; non sarà mai iscrivermi, sia chiaro, ma perché è necessario in Italia. Questo vuol dire naturalmente anche liberarsi di alcuni strascichi del passato, che qualche volta navigano nei dintorni del suo partito: è certamente una cosa difficile, ma questo credo sia un punto. Naturalmente l’esistenza un importante partito conservatore da un lato, e un'importante area progressista dall'altro, rende più lineare la vita politica, i rapporti parlamentari, i rapporti politici. Io spero che si faccia. Riguardo la cultura, un certo primato certamente c’era, non un’egemonia, un primato culturale determinato dall’attenzione alle case editrici, dall’attenzione alla scuola, dall’attenzione all'università, ai luoghi di formazione delle culture. È stato un processo durato anni, mica si è fatta da un giorno all’altro quella roba lì, ed è stata fatta da una classe dirigente che era stata in galera e ha avuto la fortuna di studiare in galera, come Pajetta mi ricordava ogni giorno. Quando questa classe dirigente è entrata nella società, aveva un background formidabile: Natta leggeva in latino, altri traducevano dal greco, c'erano questo tipo di quadri dirigenti, con una grande cultura classica e che poi è anche politica. Questo complesso di cose fa cultura, non soltanto un convegno, una parola”.
“Devo dire che ci sono personalità del mondo culturale di destra che io apprezzo, che possono aiutare a costruire la cultura, che è una forma di interpretazione del mondo”.
Nelle sue parole, quando parla di politici che traducevano dal greco, colgo una critica alla classe dirigente attuale…
“Il greco credo non si studi più, il latino non lo so. Ma in ogni caso quella attuale è una generazione nata in un'altra epoca: sarei sciocco se facessi paragoni fra la prima metà del secolo scorso e la prima metà del secolo successivo, sono paragoni che non stanno in piedi. Devono essere loro stessi a costruire gli strumenti culturali adeguati per essere classe politica e dirigente a 360 gradi. Non è facile, ma bisogna avere anche la pazienza di dare tempo al tempo. D’altra parte, siamo in un paese in cui c’è stato il voto in Sardegna e sembrava che cambiasse il mondo, si è atteso a bocca aperta il risultato dell'Aquila, poi ci saranno altre elezioni regionali, poi le elezioni europee, quelle politiche: il problema è che il dirigente politico deve avere un po' un doppio standard, uno della contingenza e l'altro della strategia. Io ho temo che lo standard della strategia forse faccia ancora fatica a venire fuori”.
“C'è anche un problema di strumenti, di tempo per studiare. Le faccio un esempio: ricordo che quando sono stato al Ministero della Giustizia, fra il ‘77 e il ’79, con il compito di coordinare alcune Procure della Repubblica contro il terrorismo, alle sei del pomeriggio si presentavano, al Ministero della Giustizia, la moglie del ministro e la moglie del capo di gabinetto, chiacchieravano, prendevano un tè, e giocavano a scopone fino alle otto o nove di sera, ed era un governo che funzionava, c’era anche chi si leggeva un libro. Pensa sia possibile oggi fare una cosa del genere? I tempi sono tali che rendono molto difficile costruirsi una presenza culturale”
Un'ultima domanda: come vede la situazione del centro sinistra in Italia?
“La destra, come la sinistra, è articolata: non c'è una sola sinistra e non c’è una sola destra. La Destra di Salvini è diversa da quella di Meloni, la destra di entrambi è diversa da quella di Forza Italia. La sinistra, inseguendo il mito della perfezione, naturalmente si divide molto più facilmente rispetto agli altri. Ho l'impressione che sia in corso un processo di unificazione, non so poi se avrà successo. Ho letto e ascoltato alcune dichiarazioni di Giuseppe Conte, che apprezzo anche per come ha fatto il Presidente del Consiglio, contrariamente a quanto pensano alcuni. Spero che ci sia questa possibilità: non è che bisogna fare un solo partito, ma realizzare un'alleanza tra partiti diversi, che la pensano diversamente su alcune cose, ma hanno un'idea comune dell’Italia e dell'Europa. Queste due cose basterebbero per ricostruire un'idea comune e andare avanti, poi si può non essere d'accordo su altre cose, questo fa parte del pluralismo politico”.
Alessandro Martegani