Si scrive riforma, ma in realtà è un ritorno al passato. Come annunciato alcuni mesi fa, il ministro dell’istruzione italiano Giuseppe Valditara aveva presentato una riforma dei voti di condotta nella scuola italiana, e il provvedimento è stato approvato in via definitiva dal Parlamento in settimana.
Il sistema voluto dal ministro (non nuovo a iniziative restauratrici, come il ritorno al diario cartaceo, gli esami a settembre fatti ad agosto, e l’idea di una scuola dove “l’umiliazione è un fattore fondamentale della crescita”) prevede il ritorno della valutazione numerica sul comportamento anche alle scuole medie, la bocciatura con il 5 in condotta, e un pesante debito formativo con il 6, con l’obbligo di presentare un elaborato di educazione civica. Nella scuola Primaria invece ritornano i giudizi sintetici, da “ottimo” a “insufficiente”.
Cambiano anche le regole sulle sospensioni, che prevedono attività a scuola, e non l’allontanamento, e attività di cittadinanza solidale nei casi più gravi. Istituite anche multe per chi aggredisce il personale scolastico.
L’aspetto forse più impattante nella carriera accademica riguarda però il fatto che il voto di condotta diventa un fattore determinate per gli studenti delle superiori, poiché i punteggi più alti nell'ambito della fascia di attribuzione del credito scolastico, potranno essere assegnati solo agli studenti che hanno almeno nove in condotta.
Secondo il ministro questo sistema dovrebbe contribuire a costruire un sistema scolastico “che responsabilizzi i ragazzi”. “Con la riforma del voto in condotta – conclude Valditara – si ripristina l’importanza della responsabilità individuale, si dà centralità al rispetto verso le persone e verso i beni pubblici e si ridà autorevolezza ai docenti”.
La maggioranza ha sostenuto la riforma, ma critiche sono giunte dalle forze di opposizione e dai sindacati. Gianna Fracassi, segretaria generale della Federazione lavoratori della conoscenza della CGIL, ha contestato la misura del voto in condotta, considerandola una manifestazione di un’idea di scuola autoritaria, che rischia di peggiorare il rapporto educativo tra docenti e studenti, mentre le organizzazioni studentesche hanno sottolineato la necessità di un maggiore coinvolgimento, senza norme imposte dall’alto.
Alessandro Martegani