Lo sostengono da tempo le istituzioni europee, che hanno anche avviato cause legali contro i colossi del Web, lo dicono i governi nazionali, e lo ha confermato anche il presidente americano Joe Biden nel suo recente intervento di fronte al parlamento: le grandi multinazionali del web e dell’informatica devono accettare il fatto che sono sottoposte a una tassazione quasi inesistente a fronte di utili miliardari, e che la situazione non potrà continuare così.
Il dibattito era già in corso prima della pandemia, ma ora la necessità di coprire la massa di debito pubblico che è stata e sarà utilizzata per sostenere l’economia, rende non più rinviabile l’obiettivo di rendere più equo il sistema fiscale a livello internazionale.
Non sono solo i colossi del web a essere nel mirino di istituzioni europee e governi: lo stesso Biden ha sottolineato come “mentre 20 milioni di americani perdevano il loro lavoro nel corso della pandemia, i 650 miliardari in America hanno visto la loro ricchezza aumentare di oltre mille miliardi di dollari”, e ha annunciato un aumento della pressione fiscale sui redditi oltre i 400 mila dollari l’anno. Ma se modificare il sistema fiscale per redistribuire le ricchezza può già sembrare difficile, arrivare ai colossi del web potrebbe essere ancor più complicato: molte società, pur operando in tutto il mondo, hanno stabilito la sede legale in paesi in cui la normativa fiscale è favorevole: “Le imprese multinazionali – ha scritto l’Ocse - sfruttano le lacune e le asimmetrie delle regole fiscali internazionali per trasferire artificiosamente gli utili in paesi con regimi fiscali più vantaggiosi, ed evitare di pagare la loro giusta aliquota fiscale”.
Per sottoporre delle aziende globali a una tassazione, occorrono però accordi globali: si tratta di una sfida complessa ma che, se vinta, porterebbe un grosso afflusso di risorse ai governi. Google per esempio ha chiuso l’ultimo trimestre con un utile di 18 miliardi di dollari (cosa che ha provocato anche la salita del valore delle azioni), Microsoft ha fatto 15,5 miliardi di utile, Apple 23,6 miliardi, Facebook 26,1. Si parla solo dei primi tre mesi dell’anno, e solo minima parte di questi fondi sono sottoposti a tassazione. Si stima che le perdite di gettito vadano dagli 80 ai 200 miliardi di euro l’anno.
Istituzioni internazionali e governi pensano a un contributo di solidarietà legato solo al periodo dell’emergenza, in cui soprattutto i colossi dell’informatica e del web hanno aumentato i profitti, ma per poi giungere a una web tax permanente, tassando i colossi del web dove vendono i loro servizi, e non solo dove li producono. Un’altra idea è quella di “un’aliquota minima globale sulle multinazionali”, che secondo il piano di Biden dovrebbe attestarsi attorno al 21 per cento.
Non mancano però le controindicazioni su un progetto ch in linea di principio è largamente condiviso: la prima riguarda proprio la necessità di un accordo globale, perlomeno fra i paesi più sviluppati, che ormai sono molti, e che dovrebbe mettere insieme normative e sensibilità diverse, anche di paesi che hanno costruito la propria politica sulle agevolazioni fiscali alle multinazionali.
C’è poi la regola generale secondo cui ogni aumento delle tasse viene scaricato dalle aziende sui prezzi al consumo, e quindi i cittadini si potrebbero trovare di fronte a un aumento delle spese per servizi diventati ormai fondamentali per la vita quotidiana, come strumenti informatici, accesso a internet, servizi online, telefonia.
Rimane anche da vedere come reagiranno le multinazionali colpite dalla nuova tassazione: anche se accettassero, più o meno di buon grado, le nuove imposte, il rischio è che, versando una quota cospicua del proprio reddito allo stato, vogliano poi influire anche sulle decisioni politiche prese dai governi.
Alessandro Martegani